Paolo Petroni
Ancora sulla pellicola di Alexander Payne

Il film dei sogni

"Nebraska" è un'opera che riconcilia con il cinema. Perché racconta una storia a misura d'uomo (a misura di "vecchio") dove vita e dolori trascolorano in un lungo sogno

Ecco come dovrebbe essere un paese per vecchi, ecco un film sentimentale senza un’ombra di sentimentalismo, asciutto come un’incisione al bulino, come la perfezione di una fotografia tutta in B/N eccezionale. Ecco un film (Nebraska di Alexander Payne) che andrebbe proiettato nelle scuole, come fosse una lezione di umanità, semplice e naturale come la tenerezza e il rispetto che nasce in David, pur segnati da un’inevitabile malinconia, per il suo vecchio padre Woody Grant.

A costo di andare a piedi, di percorrere 750 miglia per andare dal Montana al Nebraska, questo vecchio testardo, con poche idee chiare in testa, dove del resto regna ormai una qualche confusione perché «crede a ciò che gli dicono», come spiega David, vuole arrivare alla sede di una società che, con un volantino pubblicitario su cui è il suo nome e indirizzo, gli annuncia di essere il vincitore di un milione di dollari. Non vuole diventare ricco, non gliene importa nulla dei soldi ed è sempre stato un uomo generoso, ma vuole, possiamo dire prima di morire, poter avere finalmente nella vita un furgone tutto nuovo, anche se non ha più la patente, e poi, come confesserà alla fine, poter «lasciare qualcosa ai figli». David e suo fratello cercano di farlo ragionare, di spiegargli che la vincita non è vera, che il foglietto serve solo a spingerlo a abbonarsi a alcune riviste, che è inutile andare sino ala cittadina di Lincoln.

Nella sua mente confusa, però è chiaro solo che questa è la sua unica occasione per realizzare quei due suoi desideri e così si mette in marcia, contro vento e pioggia, ogni volta che sua moglie Ross, una concreta anziana e vitale signora che non ne può più delle assurdità del marito, si distrae. E ad andarlo a cercare e riportare a casa tocca a David, commesso in un negozio di apparecchi di alta fedeltà, mentre suo fratello è impegnato e distratto dalla carriera di anchor man di un tv locale. E David lo fa ogni volta, con pazienza, appena sbuffando, senza ben capire le ragioni del padre, che del resto non conosce, ma con comprensione per le sue condizioni, capendo che non è più in grado di discernere la realtà dalle sue ossessioni, tanto che alla fine deciderà di accompagnarlo lui sino a Lincoln.

Nebraska3Inizia allora questo viaggio assurdo e pieno di sentimento che si rivela famigliare e sociale assieme. Si attraversano vari stati, campagne con paesaggi che si perdono all’orizzonte, lunghe strade dritte tra i campi, mentre tra i due uomini on the road va costruendosi una piccola intesa che forse non c’era mai stata prima, tra una deviazione per vedere il monte Rushmore, un piccolo incidente in cui il padre cade e si ferisce e l’arrivo a Hawthorne, città d’origine della famiglia Grant, dove, con la sosta a casa di un fratello di Woody, tutto prende una dimensione più profonda e larga. Il bianco e nero del racconto scelto dalla regia di Alexander Payne certo aiuta, ma è evidente che questa America sta rivivendo, vagabondaggi, inerzie, illusioni e piccole violenze che somigliano molto a quelle della Grande depressione. Hawthorne è stata messa a terra dalla crisi, raccontano i parenti e i due cugini di David vivono seduti annichiliti più che abbrutiti davanti alla tv, senza nulla da fare, per lavoro o per diletto, e uno dei due è anche finito in prigione per una violenza sessuale.

Protagonisti diventano l’immobilità di questa provincia, le figure che incontriamo al bar, l’inettitudine e l’immobilismo di tutti i membri della famiglia Grant che organizzano una riunione domenicale, vecchi amici persi di vista da una vita e tutta una cittadina che accoglie Woody come un eroe, con pubblici applausi per la sua vincita di un milione, quasi se la fosse guadagnata, e pian piano un gioco di richieste e ricatti, che dall’omaggio passano alla violenza e infine, quando si scoprirà la verità, alla derisione. E David, che via via ha voglia di scoprire il passato del padre di cui non sa nulla, sempre più si sente solidale e partecipe della fragilità dei suoi sogni, e così lo difenderà e porterà comunque sino alla destinazione prevista del viaggio, dove la delusione sarà inevitabile.

In tanta desolazione il sogno è la cosa più preziosa, è ragione di vita, di sentimenti, di azioni, ma anche inevitabilmente destinato a infrangersi. L’importante è che nel frattempo è rinato un rapporto tra figlio e padre e anche tra quest’ultimo e la indefettibile madre che pure mostrerà la tenerezza del suo cuore. L’importante è che qualcuno creda ai tuoi sogni e alla loro importanza, che un vecchio abbia diritto a rispetto, affetto e comprensione, sino ai gesti quasi eclatanti che compirà alla fine del viaggio David per dare qualche gioia al padre, per rendergli un senso di dignità perduta davanti alla sua gente, per dare soddisfazione e calore anche a se stesso.

Del nitore della fotografia, senza alcun orpello o cedimento visivo ornamentale, si è detto; del racconto bisogna sottolineare come, sempre in bilico tra comicità, ridicolo e dramma o patimento, ma con l’essenzialità della vita, evita ogni commozione e ricatto sentimentale in cui pure tale storia avrebbe potuto facilmente scivolare; dell’interpretazione di Bruce Dern nei panni del vecchio Woody Grant si può solo dire che è stupenda, magistrale nei particolari, nei movimenti e soprattutto in quello sguardo spesso come perso, ma chiaro, quasi da bambino che si interroga sul mondo senza capirlo (cosa che gli è valsa il premio per la miglior interpretazione maschile all’ultimo Festival di Cannes). Così vale per gli altri, dal David di Will Forte alla madre Ross di June Squibb e il fratello di Bob Odenkirk e poi per tutti i visi (e le espressioni) di contorno, di secondo piano e di sfondo,scelti e diretti con cura maniacale da Payne, ma che vanno costruire un mondo, uno spaccato culturale e sociale esemplare, quasi una malinconica denuncia dell’inerzia dell’America profonda, che si specchia solo nella tv e segnata dalla crisi d’oggi.

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