La scomparsa del leader israeliano
Goodbye Arik
Ritratto di Ariel Sharon, militare e statista dal profilo contrastato, amato e odiato nel mondo in egual misura. Ma che a suo modo ha sempre cercato di "imporre" la pace
“Arik”, cosi lo chiamavano gli amici. Anche gli ufficiali dei reparti in ritirata dalla linea Bar-Alev, nell’autunno del 1973, una piccola Maginot, che in teoria avrebbe dovuto impedire l’accesso di uomini o mezzi di qualsiasi tipo nel Sinai. I militari di Gerusalemme furono sorpresi dall’attacco egiziano che riusci a portare oltre il Canale di Suez due divisioni di fanteria e una meccanizzata nel giro di 48 ore. Era la guerra dello Yom Kippur (1973) o del Ramadan, che, sublime ironia o segno di un destino comune, quell’anno coincidevano. Allora il giovane maggiore generale intervenne per rimediare a quella che rischiava di diventare una pericolosa debacle militare e mediatica.
Israele nel primo pomeriggio di combattimenti aveva perso dozzine di aerei militari, decimati dall’ombrello di missili sam. Ariel Sharon e lo stato maggiore di Tsahal (l’esercito dello stato ebraico) erano riusciti, in poche ore, prima a frenare l’avanzata egiziana nel deserto della penisola, poi – sfondando le linee a sud – ad attraversare il Canale di Suez, prendendo alle spalle le forze nemiche della Terza armata, tagliando le linee dei rifornimenti. Roba da manuale. In poco tempo le sorti israeliane erano mutate. Le truppe con la stella di David controllavano il passaggio di viveri per i militari egiziani intrappolati nel deserto.
La leggenda di Arik, il generale, classe 1928, era cominciata. Pochi mesi dopo, sulla scia della popolarita conquistata, sarebbe stato eletto alla Knesset (il parlamento israeliano) nel Likud (partito laburista) anche se questa prima parentesi politica sarebbe durata lo spazio di una guerra lampo. Avrebbe dato le dimissioni per diventare consigliere per la sicurezza di Yitzak Rabin. Nel 1977 gli israeliani, grati, lo avrebbero comunque rieletto. Successivamente sarebbe diventato ministro della Difesa con il governo di Menaghem Begin (1981). E in quella delicata posizione avrebbe progettato l’invasione del Libano del 1982.
Fama, leggenda e ombre che dai tempi dell’unita speciale 101 lo avevano seguito, non avrebbero smesso di alimentare la sua immagine. Sharon polarizzava i giudizi della gente: a favore o contro. La fama comunque avrebbe prevalso a lungo. Anche se, col tempo, sarebbe stata macchiata dalle ombre di Shabra e Shatila (1982), i campi profughi di Beirut teatro di una strage attuata dalle Forze libanesi di Elie Hobeika. Ma sotto gli occhi distratti o complici dello stesso Sharon. Tanto che nel 1983 un tribunale israeliano (commissione Kahan) ne aveva accertato una responsabilita indiretta e costretto alle dimissioni dal governo. E non furono le uniche dimissioni della sua lunga carriera, perche anche nel 1956 quando da giovanissimo generale era intervenuto nella breve occupazione di Suez con gli anglofrancesi, qualcosa era andata storta. Tanto che per sei anni dovette abbandonare la divisa.
Arik ha combattuto tutte le guerre dalla fondazione dello stato ebraico. È sempre stato un sostenitore dell’espansione delle colonie ma da politico intelligente, quale era sempre stato, aveva capito che per far intendere al mondo il problema palestinese, nella sua radicale complessità, sarebbe stato meglio abbandonare Gaza al caos dell’autogestione. Magari resa complicata da un ferreo controllo dei confini. E cosi fu, fino all’operazione Cast Lead. Ma a quel punto il vecchio generale era ormai sul letto di un ospedale, in uno stato di coma irreversibile. Fece in tempo a vedere l’invasione dell’Alta Galilea del 2006. Comprese che i tempi erano cambiati e che gli hezbollah non erano i terroristi di Arafat, ma veri soldati. Era di cultura secolare, come molti di coloro che venivano da una famiglia di profughi russi scappati alla rivoluzione bolscevica, ma credeva in Dio come ebbe a confessare durante un’intervista a Oriana Fallaci. E non mangiava carne di maiale.
Per le sue posizioni politiche non ortodosse riusci a spaccare il Likud e divenne premier con la nuova formazione Kadima. Diretto nell’eloquio e poco amante delle perifrasi, era nato per dividere le tifoserie. Aveva un conto aperto con Arafat e il Plo che disprezzava sotto ogni punto di vista: «Sono solo terroristi, non combattenti», affermava. In Libano, quando cacciò i palestinesi, chiuse quel conto. «Una sconfitta politica per Arafat» secondo Arik. Lui in quei giorni a Beirut c’era andato, piu volte, per studiare la situazione. Non amava le improvvisazioni come aveva imparato a Suez. Aveva capito che la capitale libanese poteva diventare una trappola mortale. E aveva deciso di aumentare la pressione sul Plo senza fare il passo successivo. A chi gli aveva chiesto se lo stop alla conquista definitiva di Beirut fosse arrivato da Ronald Reagan, aveva risposto: «Dalla sua fondazione Israele non ha mai chiesto il permesso a nessuno per fare qualcosa». Ora, per il generale Arik è cominciato un altro cammino.