Cartolina da Detroit
Nostra Fiat d’America
Negli Usa impazza uno spot della Crysler che invoca la "rivoluzione italiana" per dare agli americani stile e buon gusto. Ma davvero Marchionne esporta questi "valori”?
C’è una recentissima pubblicità americana della Fiat 500 la quale, al contrario di alcune basate spesso su stereotipi generici che spesso e volentieri ridicolizzano gli italiani, è molto originale, oltreché divertente. È una scena in costume. E si direbbe che siamo alla fine del ‘700, vicino alla Dichiarazione di Indipendenza dall’Inghilterra. Un giovane uomo in piedi su una collina con un cannocchiale sta guardando all’orizzonte, improvvisamente vede qualcosa e grida «The English are coming!» e lo ripete minaccioso mentre la gente che lo circonda alza gli occhi sbigottita. Poi guarda meglio e vede avvicinarsi una flotta di piccole 500 Fiat rosse fiammanti e grida «No, no the Italians are coming». Prende il suo cavallo e ripetendolo più volte corre in mezzo al paese dove uomini e donne sono intenti ai loro lavori quotidiani. Alle sue parole accade una trasformazione, una rivoluzione potremmo dire, anche se solo estetica. Le donne cominciano a tagliarsi le gonne e a togliersi le cuffiette che imprigionavano i loro capelli, alcune li sciolgono, altre li tagliano e tutte diventano più sexy e più femminili, gli uomini si tolgono giacche che li imprigionano, l’insegna del pub viene cambiata con quella del club, spariscono le tazze del tè e compaiono quelle del caffè espresso. Quando le Fiat 500 arrivano in paese, le ragazze si avvicinano alle macchine e mentre stanno per entrare una di loro dice alla sua vicina che annuisce «This is going to be so much better than the Tea Party» (questo sarà sicuramente molto meglio dei Tea Party).
A parte il riferimento molto ironico agli odierni Tea Party che, al contrario dei loro nobili predecessori, non hanno niente di rivoluzionario, questa frase lascia immaginare come sarebbe stato il corso della storia se ad arrivare allora fossero stati gli italiani: the Italians. Forse anche la rivoluzione avrebbe avuto caratteristiche diverse. O sarebbe stata di altro tipo. Ferma restando la sacralità delle origini rivoluzionarie che non si toccano e sono ancora venerate e celebrate, il senso dell’umorismo degli americani (bisogna aggiungere del tutto anglosassone!) e l’amore per tutto ciò che è italiano riesce a far superare loro l’orgoglio nazionale permettendo a questa pubblicità dissacrante e autoironica di imperversare su tutti i canali televisivi tra sorrisi e commenti divertiti.
Il fatto è che la Fiat sta conquistando il mercato americano e adesso che ha comprato il restante 41.46 per cento della Chrysler per 4 miliardi e 35 milioni di dollari la farà da padrona. L’affare che vedrà la sua conclusione il 20 gennaio 2014 è davvero strabiliante. Soprattutto alla luce del fatto che gli americani hanno sempre visto con poco riguardo le macchine italiane e soprattutto la Fiat preferendo ad esse quelle tedesche e soprattutto quelle giapponesi. Con due eccezioni: la Ferrari e la Lamborghini. Oggi però, grazie alla Fiat, gli americani si possono permettere il lusso di essere di nuovo competitivi con i tanto stimati, ma temuti mercati esteri. Non è affatto lontano il tempo in cui gli americani scherzavano sul marchio Fiat facendone un acronimo che stava a significare “Fix It Again Tony” dove Tony, nome tipicamente italiano qui negli Stati Uniti, era il meccanico che doveva ripetutamente accomodare una macchina che si rompeva sempre a differenza di quelle tedesche e giapponesi o meglio ancora americane: solide, forti, ben costruite, ma soprattutto durature. Ma allora cosa è successo adesso? La scalcagnata Fiat diventa padrona della super potente Chrysler? Il mondo va davvero a rovescio.
Sergio Marchionne, che è a capo di ambedue le industrie automobilistiche, punta con la loro fusione a diventare il settimo gruppo automobilistico del mondo. «Nella vita di ogni grande società e della sua gente ci sono momenti decisivi che si ricordano nei libri di storia. Per la Fiat e la Chrysler l’accordo appena siglato con la VEBA (Voluntary Employee Beneficiary Association) è chiaramente uno dei questi momenti» ha dichiarato Marchionne. Il manager, in Italia immortalato perfettamente dal comico Crozza, con questa mossa arriva sul mercato con un tempismo perfetto. Infatti adesso è il momento di rinascita e di passaggio dell’industria automobilistica americana. Detroit sta riprogettando completamente la sua produzione per incrementare le vendite e i profitti, come tutte le case automobilistiche che si stanno rifacendo un vestito nuovo. La Ford ad esempio ha introdotto 23 nuovi modelli quest’anno anche se il suo general manager sta lasciando la società per passare alla Microsoft. La General Motor d’altra parte ha creato 18 prodotti nuovi di zecca, ne ha rivisitato alcuni già creati nel 2013 e ne sta pianificando altri 14 per questo nuovo anno. La Chrysler infine ha avuto un incremento delle vendite per 44 mesi ininterrotti, soprattutto di veicoli prodotti con l’aiuto della Fiat, come la Dodge Dart e la Jeep Cherokee, oltre ad espandere la serie di prodotti che includono le Fiat 500. La fusione delle due società permetterà alla Fiat di mettere in comune con la Chrysler non solo i fondi, ma di stringere accordi di cooperazione tra l’Alfa Romeo, la Lancia, la Maserati marche associate con la Fiat e quelle della Chrysler come la Dodge e la Jeep. Con un investimento di circa 9 miliardi di euro la Fiat ha in progetto di far rivivere fabbriche italiane sotto usate per ridurre le perdite in Europa. Progetto legato ovviamente alla possibilità di avere accesso ai 12 miliardi della Chrysler. La Fiat e la Chrysler insieme hanno venduto nel mondo 4 milioni di automobili nel 2012 il che paragonato al 9.07 milioni della tedesca Volkswagen, ai 9.3 milioni dell’americana General Motor e ai 9.75 della giapponese Toyota evidenzia il grande lavoro che ancora rimane da fare.
Un accordo sofferto questo che ha avuto fasi alterne fino a quando Marchionne, durante la settimana prima di Natale, ha ripreso le trattative dopo che le proposte Fiat erano state inizialmente respinte. «Aspettavo a gloria questo giorno – ha dichiarato John Elkann, chairman della Fiat e parte della famiglia Agnelli – fin dal 2009 quando fummo scelti per dare una mano alla ricostruzione di una Chrysler vibrante». «La struttura della proprietà unificata – afferma invece Marchionne – ci permetterà di realizzare pienamente la nostra immagine della produzione automobilistica, quella di creare una fabbrica globale che sia davvero unica in termini di esperienza, prospettiva e know-how, un’organizzazione solida e aperta che assicurerà a tutti i dipendenti un ambiente competitivo e allo stesso tempo di grande soddisfazione professionale».
Ma saranno davvero tutte rose e fiori? A parte i dubbi dei sindacati italiani, anche dall’altra parte dell’oceano c’è chi vede questa operazione come un tentativo di salvataggio della Fiat a svantaggio della Chrysler. «Ci risiamo. La Chrysler ci mette dei soldi e la Fiat è lì pronta subito ad agguantarli» dice Gary Pacheco operaio della Chrysler a Trenton. Purtroppo non è una guerra tra poveri che potrà risolvere i gravi problemi del mercato automobilistico e neanche una sua globalizzazione. Forse c’è davvero bisogno di una rivoluzione, magari culturale, che riesca a ribaltare la mentalità della gente, una rivoluzione come quella che gli italiani e la loro cultura, al momento messa nel dimenticatoio, fecero nel passato quando si conquistarono un posto nella storia e nell’immaginario collettivo del mondo. Ma forse se davvero avvenisse questa trasformazione nella sua pienezza, chissà se le automobili, il mercato globale, il profitto, i titoli quotati in Borsa, Wall Street sarebbero ancora così popolari. Con buona pace di Mr. Marchionne.