La strategia della corazzata Ert
Bologna cambia casa
Emilia Romagna Teatro ha fagocitato Nuova Scena allargandosi fino all'Arena del Sole di Bologna. Una scaltra operazione di politica teatrale destinata a cambiare la geografia dei poteri italiani. Ecco come e perché
E così, Emilia Romagna Teatro s’è mangiato Nuova Scena! Il colosso teatrale regionale, già suddiviso tra Cesena e Modena, adesso sbarca a Bologna, spodestando la storica Nuova Scena dall’Arena del Sole e punta direttamente a entrare nel gruppo ristretto dei futuri Teatri Nazionali. L’operazione – in cantiere da tempo, viste le difficoltà dell’Arena del Sole costretta a operare come un teatro pubblico senza avere sovvenzioni da teatro pubblico – si conclude in queste ore con il suo normale lascito di “morti e feriti”.
Se non siete avvezzi alle sigle teatrali, serve qualche spiegazione in più. Ert, Emilia Romagna Teatro, è una delle realtà più antiche di quello che negli anni Settanta era il “decentramento teatrale”, quando i migliori fermenti creativi si coglievano lontano dal centro. Da allora, Ert si è consolidato sempre di più come una corazzata con solidissimi agganci non solo (come è ovvio) nelle amministrazioni pubbliche emiliano-romagnole, ma anche (se non soprattutto) nei gangli del ministero dei Beni Culturali, di qualunque colore, di qualunque indirizzo politico. Le forze organizzative o artistiche nel tempo espresse dall’Ert (Bruno Borghi, Walter Le Moli, Pietro Valenti) hanno sempre occupato posti di primissimo piano nella geografia del potere teatrale italiano. Potere con la P maiuscola: che significa soldi, scambi e cariche. Benissimo!
Nuova Scena – che con questa operazione scompare – all’estremo opposto, ha cercato sempre di convivere con l’ingombrante peso di Ert in regione. Negli anni Settanta/Ottanta, quando nacque come cooperativa, Nuova Scena rappresentava l’altra faccia della ricerca teatrale: si veniva fuori freschi freschi dal Settantasette e loro (parlo di Paolo Cacchioli, Massimo Terranova e Bruno Damini) cercavano di irreggimentare (ossia dare un ordine, una regola, anche sociale) la creatività diffusa che aveva letteralmente travolto Bologna. Si segnalarono al mondo teatrale con uno spettacolo che fece epoca, un Aristofane che mescolava teatro e jazz: sperimentazione pura – e ben riuscita – per quegli anni. Poi, Nuova Scena è cresciuta fino a passare dal vecchio teatro San Leonardo alla magnifica Arena del Sole, sala storica bolognese, da loro recuperata ai fasti del teatro. Per anni è stata la casa di Leo De Berardinis (loro lo hanno letteralmente “salvato” e rilanciato come “venerato maestro”), poi quella di Nanni Garella e del suo progetto Arte e Salute, quindi quella di Vetrano e Randisi, due artisti praticamente nati lì a Bologna. Ma anche di tanti altri: diciamo che tutto il buon teatro emiliano senza etichette (viceversa le etichette sono il forte di Ert, nel bene e nel male) ha trovato spazio e denari all’Arena del Sole. Sempre mescolando i generi, sempre unendo arte dell’attore e drammaturgia. Insomma nel segno iniziale che voleva dare un ordine alla creatività.
Tutto questo non c’è più. Ert ha dato scacco matto all’avversario storico. Gli enti locali hanno benedetto un’operazione-monstre che allarga i soci dell’Ert dagli originali Modena e Cesena a Bologna. E l’Arena del Sole è il gioiello che il Comune di Bologna porta in dote per accedere alla stanza dei bottoni della corazzata. Salvo il fatto che nella stanza dei bottoni rimarranno le stesse persone che c’erano prima, tutti in fila dietro a Pietro Valenti. L’obiettivo dell’operazione è duplice: innanzi tutto, acchiappare i contributi pubblici che prima venivano dati a Nuova Scena e all’Arena del Sole. Ma chissà se gli interessati hanno fatto i conti con il fatto che Nuova Scena viveva molto anche di sponsorizzazioni private? Chissà se quei privati seguiranno Arena del Sole nel calderone di Ert? Ma il secondo obiettivo è anche il più ambizioso: poiché, come si diceva, l’orizzonte di Ert è soprattutto ministeriale e lì andranno a bussare per chiedere un posto tra i nascituri teatri nazionali.
Come saprete, la riorganizzazione dei finanziamenti al teatro italiano prevede che dai 17 stabili pubblici attuali se ne identifichino quattro quali nazionali: con vincoli e regole molto più stringenti e con finanziamenti molto più ampi. Ebbene, da un po’ si diceva di allargare la rosa a cinque (per ammettere nel circolo anche la Pergola di Firenze) e ora si vocifera di passare a sei (iscrivendo anche Bologna). Sarà così? A riflettere sul peso specifico degli interessati, si direbbe di sì. Ma non c’è il rischio che la tanto sbandierata rivoluzione del Fus partorisca un topolino? O, meglio, un elefante chiamato “teatri nazionali”? In Europa, ogni Paese, di Teatri Nazionali ne ha uno, massimo due; quattro già sarebbero molti, ma sei sarebbe un modo per svuotare di senso la riforma.