Consigli per gli acquisti/4
Tutto sugli amori
C'è chi racconta la passioni per i luoghi (Zanzotto) o quella per i mascalzoni (Simenon). E chi analizza come nasce il "colpo di fulmine”. Ma sempre di sentimenti assoluti si tratta!
Colpo di fulmine. Domanda tra le più difficili: qual è la dinamica dell’innamoramento? E ancora: come scatta il cosiddetto “colpo di fulmine”? Lo psicopedagogista Raffaele Renna cerca di spiegare quell’insieme di meccanismi, fisici e mentali, che sorreggono il benessere, o addirittura la felicità, della coppia. Compie la sua analisi a tutto tondo in Il codice segreto dell’amore – L’utopia del partner ideale (Edizione Psiconline, 245 pagine, 16 euro). Questa è una casa editrice relativamente giovane che ha il merito, con diversi approcci (anche narrativi), di scavare nei sentimenti, e nei perturbamenti della mente umana. L’incipit è perentorio: «Ci innamoriamo tutti di un modello ideale di partner (e di bellezza) che nasce in noi da un altrove ignoto».
L’autore, più avanti, contesta la tesi di Freud secondo cui l’attrazione e la passione non sono eredità dei nostri genitori, semmai nasce con noi. «Vai a scoprire le ragioni del fenomeno (che è olistico)! Se si esaminano le varie aeree cerebrali direttamente interessate all’innamoramento, ci si imbatte in un riflesso elettromagnetico di un processo ben più complesso e che ha altre origini. Ci troviamo a intuire radici nascoste e molto profonde, che cercano e trovano nutrimento continuo direttamente dalla psiche…anche i più recenti studi socio-neuro-biologici avallano tale tesi». Renna è convinto che «il partner che abbiamo in mente è una persona che non esiste. È un’utopia». La parola “ti amo” la si rivolge dunque a quell’essere idealizzato che è collocato solo nella nostra mente, «anche se lo sguardo è rivolto passionalmente al partner che abbiamo davanti». Ma allora è solo una bizzarria letteraria o filmistica parlare di colpo di fulmine? No, no: esiste eccome, «Ma comporta un serio rischio, ossia quello di credere nell’esistenza della perfezione». Colpo di fulmine come “choc speculare”. In altre parole «la continuità della storia d’amore c’è se gli innamorati riescono a ridimensionare l’immagine ideale del partner e farla combaciare con la persona reale». Nella prima fase il partner è sempre sopravvalutato, poi questo meccanismo quasi narcotico scema nel tempo man mano veniamo in contatto con i suoi difetti. E l’autore afferma: «Forse per questo siamo per natura poligami». Con gli anni della maturità e della terza età non è per nulla scontato che si esca dalla “sfera del divino” (il partner è continuo all’idea della bellezza e della divinità), anche se si attenuano qui meccanismi chimici correlati all’atto d’amore, tipo dopamina, ossitocina e vasopressina. Insomma quel che qualcuno ha chiamato «intollerabile prurito degli ormoni». Partendo dal fatto che l’antropologa e teorizzatrice dell’amore romantico, Helen Fisher, dopo anni e anni di ricerche ha compreso che l’innamoramento è molto di più di un’emozione ed è più potente anche di una pulsione sessuale, non dobbiamo dimenticare l’esistenza di una bellezza interiore. Tutto si evolve, è vero, ma i desideri non invecchiano mai, neanche con l’avanzare dell’età. Tutto cambia. Si procede verso l’inevitabile adattamento.
La furbacchiona. Siamo agli sgoccioli, purtroppo. L’Adelphi ha pubblicato tutti i romanzi di Georges Simenon con il commissario Maigret quale protagonista, e ora manda in libreria piccole raccolte di racconti. La consolazione è che la casa editrice, che ha soffiato i diritti dello scrittore di Liegi (ma unanimemente considerato francese), ha modo di tradurre altri romanzi. Quelli che il prolifico narratore (ne scrisse all’incirca trecento) chiamava “roman roman”: non c’è l’impassibile, sornione e abitudinario funzionario di Quai des Orfevres, ma tutti hanno una venatura gialla su una filigrana che privilegia il tormenti di un uomo, di una donna o di un’intera famiglia. Tornando ai racconti, l’ultimo apparso in ordine di tempo s’intitola Assassinio all’Etolie du Nord (176 pagine, 10 euro). Sono quattro storie, la più diversa e intrigante della quale è La signorina Berthe e il suo amante. Maigret è in pensione (e s’annoia un po’?) nella sua villetta sulla Loira. Qui riceve un’allarmante lettera della pronipote di Lucas, suo ex collaboratore (forse il più stretto, forse destinato a diventare suo successore, peccato sia morto). Un po’ per dovere, un po’ perché sente nostalgia delle sue inchieste e dei boulevard e delle brasseries di Parigi, s’infila il suo cappotto pesante e va a trovare la tanto impaurita Berthe. S’incontrano in un bar, dove già Maigret annusa qualcosa di stonato, poi parlano a casa di lei, al sesto e luminosissimo piano di Montmartre, ambiente piccolo borghese. Berthe, che fa la sarta, piange in continuazione, pur alleviata dalla presenza del commissario. Poco prima c’era stata una rapina durante la quale un proiettile aveva steso un poliziotto. Simenon conosce a fondo la sua creatura di carta: «…era un po’ imbarazzato di trovarsi lì, in quell’atmosfera impregnata di femminilità e di giovinezza, come un uomo sposato che si concede una scappatella». Berthe racconta di ricevere per posta minacce di morte. Il suo ex (?) fidanzato Albert, coinvolto nel colpo, è fuggito lasciando a terra la rivoltella del padre. Berthe riferisce che il suo ex amante sta per varcare il confine, ma ha ugualmente paura. Maigret, che coinvolge un poliziotto-nipote, non la beve. Assembla particolari. Uno soprattutto: nota che la ragazza quando nomina Albert, lo fa con malcelato trasporto affettivo. Maigret, che affitta una stanza nell’albergo di fronte alla casa di Berthe, osserva, rimugina. E alla fine, chiarita la vicenda (davvero strana), si sente beffato, anzi usato dalla stessa graziosa Berthe. Si dice divertito, ma la sua amarezza, anzi ripicca per il fastidio della rimpatriata poliziesca, è insita nella sua frase di congedo: «Le manderò la parcella». In ogni caso Parigi gli ha fatto bene: agli occhi, assolata com’era la Ville Lumière, e allo stomaco, golosissimo come lo è sempre stato, anche quando era in servizio attivo. Ma quanti anni ha monsieur Jules Maigret? Simenon non lo dice mai. Come del resto si è sempre limitato a dare di lui abbozzi fisici, preferendo alludere al suo carattere un po’ burbero, refrattario a giudicare gli altri: questo è mestiere dei giudici. O dei suoi lettori.
Laguna. La prosa è colta e poetica. D’altra parte Andrea Zanzotto (1921-2011) è un poeta che anche quando affronta la prosa non dimentica mai la pennellata lirica, lo scavo storico-intimista. Per la prima volta l’editore Bompiani raccoglie gli scritti del più volte candidato al Premio Nobel. Scritti dedicati tutti al mondo che ci sta (o ci stava) attorno (Luoghi e paesaggi, 228 pagine, 11 euro). Nato a Soligo, in provincia di Treviso, Zanzotto, anche in versi dialettali, ha reso frequentissimi omaggi al Nord-Est. Con questa premessa: «Esistono davvero certi luoghi in cui, per quanto ci si addentri, e per quanto li si pensi e ripensi, mai si riuscirebbe a precisarne una vera mappa». Una frase che ricorda certe affermazioni di Borges sul fascino della cartografia e sull’impossibilità dolorosa di possederla per intero. Inevitabile, per lui, parlare della Laguna di Venezia. E menziona Herman Hesse e i suoi «approcci differenziati nel tempo», come dire che un paesaggio è in incessante mutamento nella nostra memoria diventando veri “circoli nel capire”. Hesse, parlando della città dei dogi diceva che era «scrigno folgorante e ultimativo dell’arte umana». Zanzotto, riferendosi a «remoti ricordi» riassume «infinite sensazioni»: tutte da verificare, ed effettivamente verificate e soppesate con pupilla finissima, in tempi susseguenti, armato della pazienza dell’archeologo culturale. E questa idea di Laguna, aggiunge, rimandano a pensieri «che conservano una loro forza di assolutezza, d’insuperata quanto insinuante perentorietà». E poi verso sud, lungo le sponde dell’Adriatico che rievocano memorie «che guidano verso i tempi primordiali». Una volta l’Adriatico non esisteva, però correvano i fiumi di un «inconscio geologico». Ricchissimo, e impensabile ora. Laguna, anzi lagune. Più precisamente, nel menzionare i tempi greco-romani, «l’era dei Sette Mari», la laguna come un immenso e affascinante enigma.