Una mostra itinerante
A Oriente di Pasolini
Alla Milano Art Gallery sono esposte quaranta fotografie realizzate da Roberto Villa sui set del film del grande poeta e regista. A cominciare da quelle per le location del "Fiore delle MIlle e una notte"
«Ero lì di fronte con le fotocamere. Lo chiamo e, mentre gli porgo il ciak, gli dico “Pier Paolo… tieni un momento il ciak, faccio una foto”. Lui perplesso: “Ma è una finzione”. Io di rimando: “Beh, anche il cinema è finzione”. Allora mi guarda e sorride». Roberto Villa e Pier Paolo Pasolini, il fotografo e il regista, la storia di un viaggio nell’Oriente misterioso, la nascita di un film, il sodalizio tra due intellettuali che dura ancora oggi, a trentanove anni dalla morte del poeta prestato al cinema. Tre mesi tra Yemen e Persia, location de Il fiore delle Mille e una notte.
È il 1972, al fianco di Pasolini c’è un fotografo di talento, Roberto Villa appunto, non fa parte della troupe, ma documenta, presenza silenziosa, le fasi di lavorazione di una pellicola che si trasforma, poco alla volta, sotto i suoi occhi, in poesia. Cento giorni, centodieci scatti, bellissimi, che restituiscono la magia figurativa e la fisicità popolare del film più visionario di Pasolini, un focus sull’immaginario del regista-poeta e sulla sua concezione antropologica narrativa ed estetica che si contrappone allo «sviluppo senza progresso del presente».
Da questo prezioso corpus che costituisce il Fondo Villa alla Cineteca di Bologna sono state selezionate quaranta immagini, esposte fino all’11 gennaio nella storica e prestigiosa “Milano Art Gallery” diretta da Salvo Nugnes: un mondo di sogni ed emozioni che vibra nei maestosi scenari di antica bellezza e nei paesaggi onirici, nei volti delle strade, le facce povere che Pasolini prediligeva; un racconto di corpi e luoghi che si snoda accanto ai ritratti del “Corsaro” sul set. «Ho incontrato Pasolini – racconta Villa – a un dibattito sui temi nascenti della trasmissione di film in televisione e dell’interruzione dei film per inserire la pubblicità. Ci siamo messi a chiacchierare, gli ho chiesto, mi occupavo di problemi linguistici, se fosse interessato ad una conversazione sul linguaggio cinematografico. Mi ha spiazzato, invitandomi a seguirlo in Oriente dove voleva girare un film, il terzo e conclusivo capitolo della “Trilogia della vita”. L’ho seguito, ho abbandonato tutto, avevo uno studio fotografico e pubblicitario anche di successo, e mi sono lanciato in questa incredibile avventura in paesi arcaici e remoti, ma per Pasolini reali di contro all’irrealtà del consumismo».
Villa ha un unico divieto: non disturbare i lavori in corso. «Per il resto – ricorda – avevo disponibilità totale, mi potevo muovere liberamente come se fossi stato trasparente. Poi, nei tempi morti, avevo la possibilità di parlare con il maestro, di tutto e di più, ma soprattutto di linguistica e di cinema. Spesso mi chiedono com’era Pasolini. Che dire? Se parli con un genio non ha mai un comportamento diverso da una persona normale, non sta sospeso a mezz’aria, non dice cose incredibili. I geni sono persone normali che, però, nella loro attività, fanno cose incredibili».
La mostra milanese è itinerante. Si è tenuta in Spagna, in Brasile, in Argentina, in Estonia, a Los Angeles. Ci sono prenotazioni, complici gli Istituti di cultura, a Santiago del Cile e a Toronto. In Italia è stata allestita nel 2012 a Casarsa, praticamente a casa di Pasolini, e ovviamente a Bologna, nella sede del Fondo. Tre tappe nel Belpaese, veramente poche per un “documento” unico nella storia del cinema.