“Allucinazioni”: voci, visioni, stati alterati
Oliver Sacks indaga
Come un provetto Tenente Colombo, il neurologo inglese analizza una serie di fenomeni dispercettivi restituendo al lettore un quadro comprensibile dei casi clinici narrati. Con la spigolatura dell’aneddoto, associato alla comprensione scientifica
Nel suo nuovo libro edito da Adelphi (Allucinazioni, trad. italiana di I. C. Blum, 325 pagine, 19 euro), il neurologo/letterato Oliver Sacks affronta un’affascinante storia naturale delle allucinazioni, proiettando trasversalmente il suo inveterato impegno per la romantic science in un campo della medicina così ostico e ricco d’insidie. La spigolatura dell’aneddoto, associato alla pura comprensione scientifica, si fonde, per intelligente disegno dell’autore, in una trama investigativa da “tenente Colombo” dei fenomeni dispercettivi, e restituisce al lettore un quadro ampio, ma comprensibile dei casi clinici.
Sindrome di Charles Bonnet – «Nelle persone non vedenti o con la vista compromessa, le allucinazioni visive non sono insolite e non hanno un’origine ‘psichiatrica’, ma sono una reazione del cervello alla perdita della visione». Sembra che chiunque sia affetto, ad esempio, da un forte disturbo maculare, sviluppi una sorta di reazione alla perdita del mondo visivo primario con l’acquisto («rudimentale e intermittente») di un mondo visivo secondario. Motivi geometrici, note musicali, volti inquietanti si compongono agli occhi ‘traditi’ per fornire un rimpiazzo della vita da vedente. Il fatto assai notevole è che, dalle testimonianze che Sacks riporta su carta, emerge una sostanziale diversità – o meglio, ‘separazione’ – tra mente (attività cerebrale) e Io (spirito?). La persona in quanto tale appare slegata dal cervello: vittima di uno stato imposto dalla Dittatura dei Lobi. «Al cervello non basta ricevere input percettivi: questi ultimi devono anche essere vari, e l’assenza di tale varietà può causare non solo cadute della reattività e dell’attenzione, ma anche aberrazioni percettive». L’indigenza di stimoli comporta, quindi, una prima tipologia di allucinazioni che deforma la facies della vita reale. D’altra parte Montale insegna: «Le trappole, gli scorni di chi crede che la realtà sia quella che si vede».
Voci inquietanti – Il padre e il nonno di un certo Daniel Smith, racconta Sacks, udivano delle voci che giornalmente emettevano «semplici comandi», e nei confronti delle quali il primo aveva assunto un atteggiamento di obbedienza, mentre il secondo un’aria di nonchalant, persino ludica. Il fermo proposito (non scontato) del neurologo è dimostrare che non sempre l’allucinazione uditiva comporti un’esperienza di schizofrenia, come generalmente si ritiene: gli Smith erano uomini perfettamente normali, gente dalla psiche ferrea, che aveva però il piccolo inconveniente di ascoltare ammonimenti, a differenza dello schizofrenico, privi di «connotazioni salienti». Molto singolare è l’ipotesi che le ‘voci’ «siano il risultato di un’incapacità di riconoscere come proprio il discorso generato interiormente». A questo proposito Sacks ricorda il libro di Julian Jaynes, Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza, secondo il quale, all’incirca intorno al 1000 a.C., le «voci – generate internamente, dall’emisfero destro del cervello, ma percepite (dall’emisfero sinistro) come se fossero esterne, e interpretate come comunicazioni dirette con gli dèi […] furono interiorizzate e riconosciute dall’individuo come proprie».
Stati alterati – Con la scusa dell’uomo-bisogno e della trascendenza quale luogo fittizio di una speranza comunque necessaria, il ‘dottor Sacks’ (voluta assonanza col Dottor Sax di Kerouac) ci adduce nel peregrino terreno delle allucinazioni ‘provocate’ (da sostanze), offrendo resoconti di ‘viaggio’ a metà tra il comico-grottesco e il moralmente punibile. Forte di una tradizione letteraria di fattoni da primato (Poe, Baudelaire, Huxley), il neurologo si fa strada tra appunti di pazienti e ricordi personali che meritano di essere trascritti almeno quanto condannati. I pazienti: «Ci accorgemmo che ci stavamo parlando mentalmente, soltanto attraverso il pensiero, senza scambi verbali, comunicando a distanza. Io pensavo nella mia testa: “Voglio una birra”, e lui mi sentiva e andava a prenderne una; poi lui pensava: “Alza il volume” e io alzavo il volume… Andò avanti così per un po’». (C’è da chiedersi se in realtà questi profeti della morfina non avessero gridato in maniera aborigena per tutta la durata dello stato di ‘fattanza’, e avessero scambiato, poi, in un micidiale gioco delle parti, la propedeutica all’Urlo Amazzone con un tibetano traffico di pensieri transmentali). Il ricordo: «Mi trovavo in cucina, e stavo mettendo dell’acqua a bollire per il tè, quando sentii bussare alla porta. Erano i miei amici Jim e Kathy; spesso passavano a trovarmi la domenica mattina. “Entrate, è aperto” gridai, e mentre si accomodavano in soggiorno, chiesi loro: “Le uova come le volete?”. A Jim piacevano cotte solo da una parte, senza girarle, mentre Kathy le preferiva girate bene durante la cottura. Chiacchierammo un po’ mentre io cuocevo per loro uova al prosciutto […]. Poi, cinque minuti dopo, gridai: “È pronto!”. Misi uova e prosciutto su un vassoio e andai in soggiorno. Trovai la stanza deserta: niente Jim, niente Kathy, nessun segno che fossero mai passati da me».
Doppelgänger – Dopo l’arguta analisi delle visioni ‘mistiche’ negli epilettici (il caso clou è l’esperienza dell’immortale Dostoevskij), si passa all’«allucinazione di se stessi». Tra le varie possibilità dello sdoppiamento dell’Io, materia anche questa oltremodo gravida nella storia della letteratura mondiale, il più avvincente argomento riguarda le esperienze extracorporee. Un solo esempio su tutti: «Alcuni anni or sono, Tony Cicoria, un chirurgo, fu colpito da un fulmine e andò in arresto cardiaco. […] Mi riferì quanto segue: “Ricordo un lampo di luce… mi prese in pieno viso. La prima cosa che ricordo, subito dopo, è che stavo volando all’indietro… Poi… stavo volando in avanti… Vidi il mio corpo per terra. Dissi a me stesso: ‘Cazzo, sono morto’. Vidi della gente radunarsi convergendo intorno al corpo. E vidi una donna… mettersi sopra al corpo e praticargli una manovra di rianimazione”». Al di là dello straordinario senso dell’umorismo esibito dal Cicoria alle prese con un inghippo metafisico ai limiti del privativo, è importante rilevare che l’interpretazione di Sacks («eccitazione neuronale che si sposta da una regione del tronco cerebrale») manifesta il limite più evidente della speculazione, fino allora impeccabile, sul tema allucinatorio. Ci vuole davvero del virtuosismo dogmatico per far passare come «stimolazione elettrica della corteccia» l’esperienza (condivisa ugualmente da un ingente numero di persone e raccolta nel libro La vita oltre la vita di Raymond Moody) dell’occhio che scruta il proprio corpo, del tunnel oscuro, della luce incontenibile, del giardino di beatitudine e della malinconia provata per il conseguente ritorno al mondo. Le ipotesi sono due: o questa gente (diversa per sesso, cultura e nazionalità) si è messa d’accordo meglio di quanto farebbero le Nazioni Unite, o la spiegazione razionalistico-patologica diviene insufficiente per comprendere le anomalie del binomio corpo-mente. E qui, il dottor Sacks, ottimo prosatore, scienziato scrupoloso e viveur occasionale, forse, si sbaglia.