Cartolina dai presepi
Natale a Napoli
San Gregorio Armeno e le anime "pezzentelle", le luci di Capri e i venditori di cianfrusaglie: visita guidata a una città disperatamente vitale
Uscendo dalla stazione ci dirigiamo verso Forcella. I calzini, le borse false, le voci del mercato ci inondano di suoni, odori e volti. Napoli è una città barocca anche nelle sensazioni che emana. Tutto intorno a noi, una folla cammina, urla, vende merce, si muove verso mete a me ignote. È un popolo quasi mediorientale, quasi non ti lascia respirare. Lo puoi adorare o odiare, ma non ti può lasciare indifferente. Faccio da guida a un’amica greca che non ha mai visto la città e sono sceso giù per rispettare una tradizione natalizia che ho da tanti anni: acquistare una statuina di un’anima purgante a San Gregorio Armeno.
In mezzo a Forcella c’è una chiesa barocca: dentro si svolge un funerale, per rispetto usciamo. Dopo pochi passi varchiamo la porta di uno dei templi della pizza fritta, decidiamo di prendere parte a questa messa culinaria. Dopo poche ore, nello stesso quartiere di Massimo Castellano rimarrà solo una chiazza di sangue sull’asfalto. Napoli si perde tra i presepi, Napoli perde i suoi figli.
Proseguiamo verso il duomo e ci perdiamo tra gli splendidi mosaici paleo-cristiani del battistero di San Giovanni in Fonte. Le tessere di mosaico raffinatissime e dalle tinte blu, verdi e oro hanno un che di magico, per un attimo ti trasportano in una realtà parallela. Salutiamo San Gennaro e il suo tesoro e ci dirigiamo verso via dei Tribunali. Le Sette Opere di Misericordia di Caravaggio ci chiamano e noi entriamo nel palazzo del Pio Monte di Misericordia. Ci perdiamo nella Napoli del Seicento e nella potenza della luce che solo un genio poteva rendere tanto vivida. Uscendo, dopo poco siamo avvolti dalla sapienza degli artigiani partenopei, le loro mani antiche creano bambin Gesù, pastori, piccole città. Le loro dita sanno però essere anche molto ironiche ed ecco Fabrizio Corona incarcerato, Berlusconi decaduto, il calciatore Balotelli, Mandela e qualche show girl ammiccante. Sacro e profano, l’essenza di Napoli.
Ma ora qualcuno dal purgatorio ci chiama. Iniziamo la nostra personale discesa in quel luogo in cui i morti e i vivi si incontrano: la chiesa di Santa Maria delle anime del purgatorio in via dei Tribunali 39 conosciuta come la chiesa «de e ‘cape e muorte». Tra le donne partenopee fiorì l’usanza di adottare un’anima “pezzentella”, ossia senza parenti perché morta in una calamità naturale o in un’epidemia. Non avendo nessuno riconosciuto il corpo, era stato buttato in una fossa comune. Le anime indicavano ai vivi in sogno quale fosse il loro teschio, così che le donne potessero prelevarlo dalla fossa e pregare perché la sua anima passasse dal Purgatorio al Paradiso. La capuzzèlla (il teschio) veniva posta su un altare e coccolata col il refrìsco (un rito antico e complicato fatto di preghiere e attenzioni) e dandole un nome. In cambio si chiedeva una grazia: se dopo molto tempo non si avverava, voleva dire che il teschio non era quello giusto e che le preghiere non avevano fatto raggiungere il Paradiso all’anima “pezzentella”. In tal caso si ributtava la capuzzella nella fossa e se ne sceglieva un’altra. I teschi dei bambini erano i più richiesti perché si pensava che andassero più velocemente in Paradiso, addirittura esisteva una lista d’attesa per averli.
Questo culto, negli anni Sessanta, fu proibito dalla Chiesa che lo definì pagano e aberrante, ma nonostante ciò è sopravvissuto fino a oggi. Diamo un bacio alle anime “pezzentelle” e ritorniamo alla luce del sole e ai suoi mercati di presepi. Dopo pochi secondi veniamo invitati a entrare in una piccola chiesa dove dei ragazzi suonano e cantano la tammurriata e fanno una rappresentazione teatrale gratuita. Entriamo ed ecco Pulcinella che ci accoglie per qualche tempo.
Dalla disperazione e dalla depressione Napoli sa tirare fuori un’energia vitale salvifica. Suicidarsi in Sud Tirolo o a Milano è facile, a Napoli quasi è impossibile. La città è abituata ai problemi e sa trovare l’energia per vivere e far poesia. Se l’Italia guardasse di più a Napoli capirebbe meglio se stessa: la città racchiude in sé tutti i germogli della grandezza e della maledizione del nostro Paese. Le migliori energie spesso nascono proprio nei luoghi più duri.
Finito lo spettacolo ci dirigiamo verso piazza del Plebiscito passando dai quartieri spagnoli, vero trionfo della creatività locale, Maradona, San Gennaro, la Madonna e le foto dei parenti ti salutano dai muri di palazzi nobiliari resi quasi polvere. Da piazza del Plebiscito ci dirigiamo verso Castel dell’Ovo. Qui tutto cambia, nella nuova isola pedonale sul lungo mare si percepisce una Napoli borghese e silenziosa, molto bella, ma che forse non comprende fino in fondo l’anima di quell’altra Napoli, povera ma viva. Di fronte a un albergo, come in una visione felliniana, appaiono sei persone sui trampoli con degli ombrelli da cui pendono lunghissimi merletti bianchi, come quelli delle spose. Al ritmo di un carillon danzano uomini e donne. Tutto è molto misterioso fino a quando, dopo venti minuti, arrivano una coppia di sposi e i loro invitati.
Entriamo a Castel del Ovo, lunghe salite deserte tra le mura color paglia ci portano in cima dove ci accoglie il golfo di Napoli. Il sole tramonta, arriva la notte, il silenzio è rotto solo dalle onde che placidamente si infrangono sul castello. Il cielo è quasi plumbeo, l’aria è fredda. Guardo il mare, vedo Capri e la penisola sorrentina, dietro percepisco la costiera amalfitana. I miei morti mi vengono a salutare. Per quanti anni della mia vita ho percorso quelle acque e queste terre con loro. Le loro mani mi accarezzano e i loro sorrisi mi danno serenità.