Lettera da Istambul
Mani (turche) pulite
In Turchia è scoppiato lo scandalo della corruzione politica. Ma dietro le inchieste si nasconde una battaglia senza quartiere per il controllo del partito al potere. Bersaglio: il premier Erdogan
Scattano le manette per la casta turca al governo. Amici degli amici e figli dei potenti di governo finiscono agli arresti. I lampeggianti della polizia e la gran cassa mediatica rimbalzano lo scandalo che appare subito di proporzioni enormi, tanto da richiamare subito i paragoni con la “Mani Pulite” italiana. Oltre cinquanta persone sono finite nella rete della magistratura inquirente turca con l’accusa di corruzione, tra i quali i figli dei ministri degli Interni – considerato un intoccabile – dell’Ambiente e delle Finanze, in buona compagnia con il palazzinaro di Istanbul. Sembra un colpo durissimo all’Akp del premier, in realta è una guerra per il controllo del partito, ma non e una guerra di potere, meramente inteso, è qualcosa di più. È forse il capitolo finale dello scontro politico tra Tayyip Erdogan e il suo padrino politico Fetullah Gulen (insieme al premier Erdogan nella foto accanto al titolo). Due anime dell’Islam politico, due visioni del ruolo dei musulmani al governo di un paese che sono venute ai ferri corti.
Uno scontro iniziato sottotraccia piu di un anno fa, ma che da anni provocava tensioni percepibili solo in alcuni circoli. In tutti partiti occidentali convivono diverse anime e tendenze: il correntismo in Italia è famoso, ma anche i repubblicani Usa hanno anime che vanno dai libertarian ai compassionate conservative, ma la deriva autoritaria di Erdogan dopo dieci anni di potere, avrebbe assunto il ruolo di acceleratore delle differenze. Come benzina sul fuoco di un confronto politico uscito dal recinto delle stanze segrete del potere. Le bozze della riforma costituzionale piu di un anno fa avevano fatto cadere dalla sedia Gulen, autoesiliato negli Usa. Ma il problema non era emerso. Poi c’era stato l’intervento sul codice penale con la cancellazione dell’articolo 250 che prevedeva poteri speciali per la magistratura inquirente. Poteri usati per depotenziare i custodi dell’ortodossia kemalista, i militari, e per trascinare il paese verso un maggiore equilibrio fra i poteri dello Stato. La mossa peròera sembrata fuori schermo a Gulen, rispetto al percorso di riforma del modello di democrazia islamica cominciato nel 2002 con la fondazione dell’Akp, dopo che il Rp (Refah partisi) di Necmettin Erbakan era stato messo fuori legge. Erdogan stava trattando con i militari? Stava pensando che fosse venuto il tempo di indebolire la magistratura a proprio vantaggio, dopo averla utilizzata contro la potentissima casta in divisa? Tutte domande rimaste inevase, fino a quando il premier turco poteva sfruttare l’inerzia di un decennio di crecita economica spettacolare. Poi la crisi mondiale ha provocato un rallentamento della crescita e il conflitto siriano ha catapultato la Turchia e il suo premier su di un palcoscenico assai insidioso e difficile, cogliendo l’ex sindaco di Istanbul del tutto impreparato.
Finita la politica dello zero problems, maximum trade cominciava la via crucis delle crisi regionali. Con Erdogan timoroso delle trappole che un Occidente «cinico e maligno», avrebbe potuto tendergli per farlo scivolare involontariamente nel calderone siriano. In realtà, Washington non vedeva l’ora di cedere la sedia di main broker delle crisi regionali, presa come era da quello che oggi e sotto gli occhi di tutti: il confronto con Pechino. E la minore importanza strategica del petrolio mediorientale. Erdogan con le sue paure – non ultima la mancanza di fiducia nella fedeltà delle proprie forze armate – e la perdita di contatto col paese, a causa della decennale permanenza al potere, ha infilato una serie di errori che hanno allarmato il mentore Gulen. Insomma, era venuto il tempo delle risposte, la coperta del successo passato del governo “made Akp” era diventata troppo corta. Sono venute alla luce le differenze di cultura politica dei nostri protagonisti.
Erdogan è figlio del Milli Gurus (Visione nazionale) di Erbakan. Una sorta di nazionalismo islamico di natura differente da quello conosciuto in Europa. Una tradizione che, partendo dal pensiero di Sayyd Qtb e Hassan al Banna, rifiutava sostanzialmente di pensare ad uno stato al di fuori del concetto universale di Umma islamica. È il modello della Muslim brotherhood, che il sistema politico lo vorrebbe cambiare. Gulen segue la tradizione turca sufi, stile movimento Nurcu di Said Nursi, un islam che accetta e difende il concetto di stato-nazione e rispetta la tradizione turco-ottomana, è pragmatico e sostanzialmente moderato. Ma la differenza piu eclatante riguarda la poitica. Il movimento Nurcu predica un ruolo politico lontano dai partiti e vicino alla società. Il contrario di quello che predicano i Fratelli musulmani. Per sommi capi sono queste le maggiori differenze.
Oggi i nodi sono venuti al pettine sotto l’apparenza di una lotta di potere cominciata con la partita scacchi per il controllo di forze di sicurezza e intelligence. La direzione del Mit (Milli Istihbarat tiskilesi) organizzazione nazionale per l’intelligence era stata presa di mira dalla magistratura, meglio il suo direttore, Hakan Fidanera finito nel mirino dei procuratori. Erdogan aveva subito varato un decreto legge per blindare il proprio uomo nei servizi. Fidan nel maggio scorso aveva partecipato, col premier turco, a una cena alla Casa Bianca con Barack Obama e John Kerry (nella foto). Il regista della politica turca in Siria era stato criticato per il presunto mancato controllo del flusso di armi alle formazioni dei ribelli anti-Assad. Alcuni ambienti Usa lo ammiravano per le sue capacita, ma non si fidavano troppo di lui. Era un alieno rispetto al prototipo di ortodossia atlantica cui gli Usa erano stati abituati da mezzo secolo dai kemalisti in divisa. In precdenza Fidan era gia stato accarezzato dalla magistratura. Delle condizioni esterne che hanno portato alla luce il conflitto interno all’islam politico turco abbiamo accennato.
Ma quali sono le ragioni interne per questa accelerazione nella resa dei conti? Le piu banali. Nel 2014 si vota per le presidenziali e se Erdogan venisse eletto i giochi sarebbero irrimediabilmente chiusi. I numeri sono a favore dell’attuale premier perche la corrente gulenista nelle urne e’ al momento minoritaria. Ma se Gulen decidesse di rientrare in patria gli equilibri potrebbero cambiare.