Cartolina dall'America
L’Angelo di Chicago
Gli homeless sono sempre di più nelle grandi metropoli: sono uomini e donne disperati e abbandonati dalla società. Ma ogni tanto qualcuno si prende cura di loro. Il dottor Patrick, per esempio...
Carneade! Chi era costui? Per noi oggi questo sconosciuto porta il nome del dottor Patrick Angelo, di origini chiaramente italiane. Di lui si sa che è un chirurgo del cavo orale, che ha 61 anni, che vive in un sobborgo di Chicago, che ha quattro figli e che è benestante. Non vuole far sapere niente altro di sé, perché, dice, quello che è importante è che leggendo la sua storia altre persone comincino riflettere su questi drammatici problemi e ne traggano le dovute conseguenze. Accetta dunque che lo si segua nel suo tragitto e che si pubblichi la sua storia solo per questo.
Circa 12 anni fa in una fredda giornata di febbraio, mentre si stava facendo un bagno nella sua vasca idromassaggio, il medico – così racconta – si trovò a pensare a qualcosa su cui non aveva mai riflettuto prima: «Come posso starmene qui tranquillo al caldo nella mia bella casa sapendo che fuori ci sono persone affamate e al freddo? Perciò mi sono vestito, e sono andato nel centro della città. Da allora per me è diventata una meta abituale». Ma cosa va a fare fa il nostro Carneade nel centro di Chicago? Soprattutto d’inverno quando il freddo morde davvero raggiungendo, come in questi giorni, anche 10 gradi sotto zero?
Prima meta è il McDonald di Ontario Street in pieno centro città, dove una volta la settimana va a ritirare 80 hamburger e 50 caffè caldi che piazza nel portabagagli della sua Cadillac prima di dirigersi a est nella Lower Wacker Drive un’arteria stradale downtown che ha un doppio livello. Quello basso è coperto e permette agli homeless, che lì si sono accampati, di trovare un rifugio che non sia completamente esposto alla forza degli elementi e al freddo brutale degli inverni di Chicago. Oltre al cibo il dottor Angelo porta anche coperte, calzini, cappelli, guanti ed altre beni di prima necessità per chi vive all’aperto. Mentre la maggior parte dei passanti evita anche di guardare gli homeless che giacciono in terra, Angelo, senza essere parte di alcuna congregazione religiosa o gruppi istituzionali, sente la necessità individualmente di provvedere ai bisogni elementari di questa gente. Spera che altri come lui facciano la stessa cosa o che si studino provvedimenti per dare alloggi decenti e un lavoro a queste persone che sono estremamente bisognose, ma che vogliono rimanere indipendenti. Per il resto non consente nessuna informazione su di sé escluse le poche necessarie a identificarlo.
«Ho avuto tanto dalla vita e credo sia giusto rendere qualcosa alla comunità» dice con semplicità. Nella sua routine settimanale Angelo, mai cognome fu più appropriato, si avventura in questo mondo sotterraneo, quasi invisibile, dopo che la cosiddetta “rush hour” della mattina quando aprono gli uffici e i negozi è passata. Cioè dopo che “la sua gente” che mendica in Michigan Avenue ha chiesto l’elemosina. Quello è il momento più lucrativo di tutta la giornata e dunque è meglio andare dopo per essere sicuri di trovarli nelle loro postazioni. Allora la sua passeggiata di 3 miglia comincia. Il medico si avventura in ogni angolo nascosto e protetto dal vento dove si accampano i suoi homeless. Improvvisamente quello che sembra essere un mucchio di immondizia si anima lentamente al passaggio della macchina. Quando Angelo vede il minimo segno di vita esce dalla macchina e consegna i suoi panini con gli hamburger, i caffè, le coperte, i calzini, i guanti. Non appena si avvicina, qualcuno si mette seduto e tenta di rassettarsi un po’, infilandosi una mano nei capelli. Alcuni non lasciano mai la postazione e accettano i doni con qualche mugugno senza neanche proferire parola. «Per me non fa differenza – dice il medico – io sono qui per servirli e non per sentirmi ringraziare. Penso che vedere una persona che, anche se in minima parte, si occupa di loro li faccia sentire meglio».
Come un venditore che va di porta in porta Angelo si ferma ad ogni postazione e chiede se hanno bisogno di guanti, cappelli, calzini poi prende delle coperte e ci avvolge quelli che vede meno protetti. «Il dottore è un buon uomo – dice uno di loro – non ci porta solo i panini, ci porta compagnia. Credo che se gli angeli esistono, lui sia uno di loro». L’anno scorso una delle donne dette al dottore le scarpe di tutte le altre del gruppo e il dottore tornò con stivali e scarpe invernali per tutte. «Angelo davvero si preoccupa (he cares) di noi», dice la donna. Ma sia lei sia il suo compagno si rifiutano di andare ai ricoveri per i senza tetto. «È meglio per noi stare qui anche se durante l’inverno è dura. Almeno stiamo insieme e viviamo nella speranza quotidiana di svegliarci il giorno dopo». Le situazioni di questi homeless sono le più disparate. Brian dice che accetterebbe qualunque lavoro sia come lavapiatti che come uomo di fatica, o delle pulizie anche dei bagni pubblici. Darnell dopo avere scoperto che il suo letto era infestato di insetti che se lo mangiavano vivo in una shelter ed essere stato ospite di uno zio è tornato per la strada. Alcuni sono lì perché hanno perso la casa con la crisi del 2008, altri a causa della morte dei familiari, altri ancora per fallimenti finanziari. Angelo li ascolta, conosce bene le loro storie. «In passato ha cercato di convincerli a trovare ospitalità nei vari centri di accoglienza, oppure ad entrare nelle comunità di disintossicazione per chi è alcolizzato o drogato, oppure a iniziare terapie psichiatriche per chi soffre di malattie mentali. Non c’è stato niente da fare. Mi sono sbattuto per convincerli a lasciare la strada, ma si sono rifiutati… Dicono che così perderebbero la loro indipendenza senza essere più autosufficienti. E questo non riescono a tollerarlo. Allora adesso io mi concentro sui loro bisogni primari. Hanno fame e freddo e la mia missione è quella di aiutarli a sopravvivere. Per il resto non posso fare molto. Ho provato, ma non vogliono ascoltarmi. Ci sono gruppi di persone che vogliono aiutarli a ritrovare la fede o metterli in comunità, ma loro chiedono solo di essere lasciati in pace e di vivere come vogliono. Loro sanno che io sono disposto ad accettare il loro rifiuto ed è per questo che mi accettano».
Alcune volte le situazioni che si presentano sono più difficili da affrontare. «In certi casi ci sono episodi gravi di intossicazione da alcol o da droghe pesanti, in altri si devono affrontare crisi maniaco-depressive, in altri ancora c’è qualcuno infuriato con la polizia perché li ha fatti spostare dalla loro postazione requisendo tutti i loro poveri averi. Il dottore sa ormai quando parlare con loro e quando invece tacere e starsene zitto ad ascoltarli. Alla domanda se qualche volta ha paura per la sua incolumità quando ci sono questi gravi momenti di tensione o in presenza di crisi di astinenza, la sua risposta è che no, non gli è mai accaduto e che non ci ha mai pensato neanche per un momento. Forse perché loro sanno chi è lui e cosa fa per loro. «Forse anche perché sanno che sono un medico e che in alcuni casi li posso aiutare. Inoltre non sono questi i soggetti di cui avere paura, ma quelli che per un motivo o per l’altro li hanno spinti a questa condizione di totale precarietà e insicurezza».
La stima dei senzatetto secondo la Chicago Coalition for the Homeless è che in quel tratto di strada vivano circa 100 persone incluso un uomo che è lì da circa 30 anni. È un numero difficile da calcolare, dicono, perché la popolazione è molto fluida, ma è certamente un numero significativo purtroppo destinato a crescere. Il dottore che spende in media circa 200 dollari la settimana solo per il cibo senza contare tutte le altre spese dalle coperte ai guanti ad acquisti straordinarie che via via si presentano, non bada ai costi, tuttavia. «Lo so, non metto abbastanza soldi da parte per i miei anni di pensionamento – dice – ma i miei figli capiranno. L’unico modo di guardare a questa mia avventura è che questa gente ha più bisogno di me. Io ho la possibilità di lavorare di più e quindi di fare più soldi, loro no. Per questo prendo la macchina e vado a servirli. Cosa c’è di meglio nella vita che dare alla gente almeno un filo di speranza?».