Erminia Pellecchia
Giro per mostre a Napoli

Laboratorio Napoli

Mimmo Palladino a Casamadre, il tedesco Ansel Kiefer a Palazzo Donn'Anna, gli spagnoli Victoria Civera e Juan Uslè a Palazzo De Sangro: visita guidata nella città dell'arte

«Sono un pittore, è la mia condizione, la mia visione e la mia modalità del fare. Anche quando vado al di là della dimensione bidimensionale di un quadro, anche quando mi espando nell’ambiente, quando faccio scultura o do vita ad una pellicola cinematografica». Mimmo Paladino insiste nel definirsi pittore, è la sua cifra ostinata e inconfondibile, anche se i linguaggi che permeano il suo lavoro sono tanti. Ed è la pittura la partitura su cui è orchestrata la personale che Casamadre ha dedicato all’artista sannita come primo appuntamento della stagione espositiva 2013-2014 (fino al 31 gennaio). Casamadre, così Eduardo Cicelyn ha ribattezzato la raffinata galleria di piazza dei Martiri che fu di Lucio Amelio. E per Paladino è un ritorno alla “casa madre”, il ritrovarsi in quegli ambienti di Palazzo Partanna dove, vivo ancora l’intellettuale che riportò la sua Napoli nei circuiti dell’arte internazionale, è stato protagonista, per l’ultima volta, nel 1992. In mostra quindici opere scandite nelle tre sale dello spazio dell’arte ritrovata: dipinti, disegni, sculture, ceramiche, tutti inediti, realizzati appositamente per l’ex direttore del Madre con cui ha condiviso anche la primavera bassoliniana delle arti con l’installazione, indimenticabile, irripetibile, della Montagna di sale in piazza del Plebiscito. Con discrezione ci si introduce nell’universo paladiniano, in quel vortice di immagini che si susseguono in ordine sparso, sfuggono, si rincorrono, rimbalzano da una superficie all’altra fino a nascondersi nell’incavo di una scultura o proliferando e disperdendosi nel fluire dei segni.

Mimmo Paladino2L’ouverture dell’anticamera con le piccole tempere sospese, dove il nero germina fantasmi ed ombre, è di attesa allo stupore che coglierà lo spettatore di fronte alla sinfonia di cromie e forme in fuga nelle due vere e proprie sale espositive. Il colpo d’occhio è il grande dipinto di quel caldo blu oltremare che il maestro di Paduli predilige per evocare simboli archetipici di cui non svela la provenienza o il destino, perché per lui «dipingere è un modo di vivere e di pensare la vita in tempo reale, senza scampo nella retorica del passato e del futuro». In Dialogo, il “dedicato” a Salvator Rosa con la mano e la maschera di Pulcinella, la teologia postmoderna di un albero sacro da cui pendono disegni votivi e un altare di risme di carta su cui si posa leggero un braccio di bronzo, in profondità, nello squarcio-occhio, la fissità di un volto enigmatico, l’uomo fa i conti con se stesso, si specchia nell’altro da sé. Si oltrepassa la soglia in un sentore mistico, una divinità muta, inavvicinabile, ci accoglie con la sua immanente presenza.

Anselm KieferIl triangolo della cultura, dove attori sono i privati, si snoda nel dedalo delle eleganti strade di Chiaia. L’arte respira nelle antiche dimore nobiliari, basta allontanarsi dal chiasso di luminarie kitsh fatte di slitte, renne e stravaganti alberi a sfere, per immergersi nel soffio dell’internazionalità. Al civico 12 di via Vannella Gaetani c’è il tempio di Lia Rumma. Il portone è chiuso, la galleria è al primo piano, la trovi solo se davvero la vuoi trovare.  Come un’iniziazione. Il dio di questo Olimpo all’ombra del Vesuvio è Anselm Kiefer che celebra il sodalizio ventennale con l’amica gallerista dedicandole la nuova installazione Walther von der Vogelweide-fur Lia (nella foto), che trae ispirazione dalla “lirica d’amor cortese” del “minnesanger” (menestrello) tedesco e da una delle sue più celebri ballate medievali “Unter den Linden”, all’ombra del tiglio, l’albero più caro al popolo germanico. «Kiefer mi ha donato la sua mostra e io gli dono Palazzo Donn’Anna», dice commossa la Rumma che il giorno del vernissage ha inaugurato anche la sua nuova casa-museo nello storico edificio di Posillipo, una homegallery affacciata sul golfo delle sirene. La felicità di un ricordo, il passo leggero di un incontro d’amore. Immagini come parole quelle che l’artista di Donaueschingen stempera sui due monumentali lavori bifronte, dall’effetto straniante, in cui sembra abbandonare i bui fantasmi apocalittici per trasformare l’aspra materia in un canto rigeneratore di bellezza e luce. Papaveri e spighe, i quadri-paesaggi grondano colore, trasudano vita, sei dentro l’opera, lo sguardo si perde “oltre la brughiera” per attraversare nuovi, possibili orizzonti. Eros e Thanatos in un poema visivo che l’inedito Kiefer sentimentale scrive sulle pagine di tela dipinta e sui libri-scultura esposti nelle vetrine, scrigni di versi: «Come boe nel mare nuoto verso di loro, dall’una all’altra; a metà strada, in loro assenza sono perduto».

Steve RiedellRiprendiamo il cammino: a Riviera di Chiaia c’è lo storico Studio Trisorio. Da qualche giorno ha chiuso i battenti il Total Black di Mimma Russo, ma si è già in fermento per il nuovo allestimento, Place and Memory di Steve Riedell (nella foto, dal 21 dicembre al 28 febbraio): quadri tridimensionali che sembrano reagire ai cambiamenti atmosferici, i colori si percepiscono diversi col variare della luce naturale, la pittura è come la musica, l’altra passione dell’artista californiano, un continuo divenire. Poco distante, al civico 6 di vico Belledonne a Chiaia, una Berlino trasportata nei vicoli di panni stesi ad asciugare al sole. Nel cortile di un vecchio palazzo c’è l’atelier, con la vicina residenza d’artista, di Dino Morra: un giovane gallerista affiancato dall’altrettanto giovane curatrice Chiara Pirozzi. Fino al 15 febbraio lo spazio minimal ospita le fotografie Ep del romano Lamberto Teotino, menzione speciale della Fondazione Fabbri e del Talent Prize: cinque nuovi lavori pertinenti ad altrettanti differenti progetti realizzati negli ultimi anni, come un album discografico con brani inediti da inserire nella successiva raccolta, immagini d’archivio ricreate con l’alterazione digitale per una narrazione sempre in attesa di una differente visione.

Victoria Civera e Juan UslèLasciamo i quartieri nobili per arrampicarci verso il decumano. Con una sosta d’obbligo nell’ormai spoglia piazza del Plebiscito, privata quest’anno anche del concertone di Capodanno e ultimamente arredata da megacassonetti pubblicitari della raccolta differenziata: per ritrovare l’antico fascino dovremo aspettare l’illusione scenica del film su Leopardi che, in questi giorni, sta girando Mario Martone. Tra tanto squallore ci aspetta, però, una sorpresa artistica: il Caffè Opera che si apre dentro il Teatro San Carlo (da poco ha inaugurato la stagione lirica con l’astratta e postapocalittica Aida firmata Franco Dragone) nel ridotto circolare sotto alla platea ha i tavolini firmati da Mimmo Paladino. Seguiamo il percorso che conduce al centro storico, al civico 7 di piazzetta Nilo, al primo piano del maestoso Palazzo De Sangro, c’è la galleria di Alfonso Artiaco che ha ceduto a Cicelyn i locali di piazza dei Martiri per affrontare una nuova sfida in questa parte di città bella e trascurata. Seicento metri quadri, dieci stanze, una foresteria per artisti al piano superiore. Qui, fino al 31 gennaio, c’è la doppia personale degli spagnoli Victoria Civera e Juan Uslè (nella foto). Due concezioni dell’arte e della vita in dialogo. Lei espande sentimenti, emozioni ed esperienze sospesa tra figurativo e astrazione. In mostra le donne, di solito sole, come archetipi, esseri liberi, a volte curiosi, a volte colpiti, ma sempre forti. Dalla grande tela Pregnant of Colour” alla scultura Again, che, insieme alle opere di piccolo formato dell’ultima sala, costituiscono il mondo di segni, simboli e rappresentazioni che la Civera, spiega il gallerista, ha inventato e che veicola uno dei modi più acuti e radicali di parlare delle donne della società occidentale nell’arte internazionale. È un cardiogramma, un battito del cuore pulsante, l’infrangersi delle onde sulla spiaggia, invece, il ciclo di tre lavori Sone que revelabas di Uslé: le pennellate sono organizzate in sequenza come larghe righe che occupano lo spazio sulla tela nera, una geometria sistemata, meccanica, ma nello stesso tempo organica. La congiunzione tra metodo e vita privata caratterizza anche la serie In Kayak, piccole opere con i sottotitoli volutamente in spagnolo, caratterizzati da bande orizzontali di colore nero di diverse sfumature separate da strisce di colore. «Mi sono ispirato – racconta l’artista – alle mie escursioni notturne sul fiume vicino alla mia casa di Saro, il buen retiro dai ritmi vorticosi di New York».

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