“La resa” pubblicato da Gaffi
La bomba di Milano
Fernando Coratelli nel suo nuovo romanzo ha preso di petto la cronaca e ha raccontato il caos che circonda un attentato. Un punto d’osservazione desueto per guardare alla complessità delle vite
La resa di Fernando Coratelli (Gaffi) è un romanzo a tutto tondo. Non un antiromanzo, né un racconto lungo stiracchiato e nemmeno uno di quelli che oggi si spacciano per romanzi e in realtà sono tuttalpiù dei personal-essay, dei romanzi-saggi personali, magari anche di pregio, ma che denunziano un impaccio (o un rifiuto) alla narrazione. No, Coratelli ha scritto un romanzo-romanzo. Beninteso, non un romanzo “ottocentesco”, ma un romanzo di oggi, nelle descrizioni, nei dialoghi, leggibilissimo, divertente, con una trama appassionante dalla prima all’ultima pagina, un pugno di personaggi forti che lasciano il segno, una struttura complessa, composita, potente, legata forse più alla tradizione americana che italiana. Penso a alcune esperienze del romanzo Moderno (Dos Passos) e postmoderno – De Lillo, citato in esergo al libro. Ma penso pure a certi film – uno in particolare che è una mia ossessione: America oggi – di Altman, per la costruzione, a incastro, di varie vicende (spesso anche sfalsate nel tempo, di pochi minuti, di pochi secondi, o addirittura di anni quando la narrazione rappresenta dei flash-back).
Il romanzo racconta di una serie di attentati terroristici di matrice islamica che colpiscono un certo giorno in vari punti la città di Milano. Coratelli ci racconta, come meglio non avrebbe potuto le vite dei suoi personaggi nel corso dell’evento catastrofico, ma anche subito prima e subito dopo, e in altri momenti delle loro esistenze; esistenze che si intrecciano, si allontanano, si perdono, tornano a incontrarsi di nuovo, dominate da un ordine supremo che potremmo chiamare destino o più propriamente “caso”.
Diciamo subito che non era affatto facile scrivere un romanzo così, chiunque abbia un minimo di esperienza nella scrittura narrativa lo capisce immediatamente, dopo poche pagine. Un romanzo, questo di Coratelli, che ambisce nientedimeno a organizzare il caos – tipica materia del postmodern: riguardo i limiti alla nostra capacità di conoscere decretati anche dalle scienze (entropia, teoria della probabilità, ecc.). Tutti temi che stanno al fondo di questo libro e che naturalmente non vengono didascalicamente dichiarati, o esibiti in qualunque modo: un narratore non ha bisogno di fare dichiarazioni o postulare alcunché, a lui basta rappresentare… Insomma, Coratelli, che è un vero narratore, come in Italia se ne vedono pochi, racconta ciò che per sua natura è quasi irraccontabile, sfidando il “caos” di un triplice simultaneo attentato in una grande metropoli occidentale riuscendo miracolosamente a organizzarlo sulla pagina in una sequenza di eventi che hanno una loro consequenzialità, sia pure complessa e tumultuosa. Ma non è solo nella struttura potente e nella leggibilità della storia che risiede la forza di questo libro, che se non ci fossero dei personaggi veri si ridurrebbe a un, seppure alto, esercizio di stile.
Invece no, La resa è un vero romanzo che racconta delle figure in carne e ossa – maschili e femminili – assolutamente verosimili, con le loro manie, le loro ossessioni private, i loro pregiudizi ideologici, i loro tic linguistici, le loro fedi, o la loro mancanza di fedi, i loro appetiti, inquadrandoli socialmente alla perfezione, nei loro mestieri, nelle abitudini. E non viene meno, Coratelli, neppure al compito di rappresentare, o almeno suggerire, il complesso e così moderno tema della “simultaneità”, legata ai mezzi di comunicazione di oggi: sms, cellulari, mail, tv, web, social network ecc. Un romanzo postmoderno se si vuole, dunque: dove però, per esempio, non c’è quell’ossessione di citare tutte le marche commerciali e le sigle che hanno molte narrazioni di questo tipo… Qui le sigle tecniche, commerciali ci sono, ma in una misura giusta, ossia funzionale alla materia narrata.
Coratelli, quando può, evita i tecnicismi inutili, si serve di una lingua asciutta, semplice, realistica vorrei dire. Nonostante la mole del romanzo (oltre 400 pagine), nulla in questa storia ci appare ridondante e superfluo. Per esempio, nei dialoghi, o nei pensieri, spesso la parte “di servizio” viene omessa, come per esempio a pag. 181, in questo breve dialogato: “Non se ne parla. La procedura dice.”, “Me ne sbatto della procedura, Maresciallo, lei sa che”, “Dio mio, tenente. Il fatto è che lo abbiamo preso noi perciò” ecc. Ora, io qui ho usato per chiarezza le virgolette, ma in realtà l’autore ha scelto di non virgolettare i dialoghi o i pensieri che peraltro restano chiarissimi alla lettura, per una scelta di stringatezza, di essenzialità, e di necessaria ambiguità.
Non abbiamo ancora detto che oltre ai quattro personaggi protagonisti (due coppie), tutti semigiovani milanesi di fascia sociale intermedia (avvocati, antiquari ecc.), ci sono anche alcuni arabi, coloro che compiono gli attentati, o altri che si trovano invischiati nel fatto terroristico e criminale senza responsabilità. Coratelli li racconta senza partigianerie, senza posizioni pregiudiziali, ideologiche. Per esempio, riferisce di una donna che si è appena fatta una ricca sniffata di coca e per una serie di motivi che non mette conto di raccontare, quella mattina è parecchio su di giri, incavolata con il mondo, e si trova a mentire spudoratamente, accusando un povero mediorientale innocente che a causa sua viene preso dai servizi segreti britannici o americani e barbaramente torturato, sotto l’occhio inerte e semicomplice delle autorità italiane. Questo per dire che i buoni e i cattivi, com’è giusto, non sono solo da una parte o solo dall’altra: la verità è sfuggente, scivolosa, sguscia via da tutte le parti come provi ad afferrarla, è difficile da inquadrare in una formula morale purchessia. Beninteso, questo non significa che al fondo di tutto non ci sia uno sguardo etico dell’autore che, dall’alto del suo osservatorio onnisciente, organizzando gli eventi, dando corpo ai personaggi e alle loro azioni, esprime comunque un giudizio sull’operato degli uomini. Ma è quella specie di giudizio che deve avere un narratore, un romanziere, un giudizio, perdonatemi il gioco di parole, “non giudicante”, non sentenzioso, non ideologico…
È evidente che Coratelli giudica abominevole qualunque atto terroristico che vada a colpire innocenti che nulla hanno fatto di male, ma non si sogna di fare prediche. La verità sta tutta e soltanto nelle azioni e nelle parole. Ora forse per Coratelli, a ben scavare dentro i significati più profondi del suo romanzo, gli uomini non hanno, in generale, nessuna colpa; o forse al contrario una colpa, una colpa primigenia, ce l’hanno tutti, arabi e occidentali, quasi una maledizione che li accompagna dalla vita alla morte, ma ripeto, questi sono ragionamenti e valutazioni di un livello superiore che ognuno dentro di sé può fare ma che non inquinano né pregiudicano mai lo sguardo distaccato e non giudicante dell’autore.
Non c’è lieto fine, prevedibilmente, in questo romanzo, né alcuna ipotesi di riscatto, di catarsi. In verità non c’è un vero finale. Il finale è aperto, che più aperto non potrebbe. La vita riprende senza palingenesi, senza che nulla davvero cambi, anche se quel tale personaggio si iscriverà a qualche associazione umanitaria o partirà per qualche zona disgraziata del pianeta o quell’altro avrà capito qualcosa di se stesso che prima non sospettava. Ma nulla di più di un qualunque dato esperienziale, pronto ad essere negato e contraddetto in un momento successivo. Il romanzo finisce, così come era iniziato, con l’azione, un’azione qualunque, quotidiana, uno sguardo scambiato con un tassista dentro lo specchietto retrovisore da parte di una donna che sta andando in aeroporto diretta chissà dove, forse a inseguire un sogno di solidarietà velleitario…