Roma ritrova uno spazio perduto
Il Teatro Vuoto
Dopo un restauro costoso e complesso torna a vivere la sala ottocentesca di Villa Torlonia. Pochi gli appuntamenti previsti: il futuro è delle "residenze". Ma è la soluzione giusta per un gioiello del genere?
Il Teatro di Villa Torlonia, a Roma – splendido gioiello ottocentesco – è, prima di tutto, un teatro e come tale sabato scorso, alla cerimonia di inaugurazione, è stato presentato dalle autorità romane. E un teatro che torna a vivere perché la città ne goda deve proporre una programmazione fatta da appuntamenti di spettacolo dal vivo. Esigenza naturale che però, solo parzialmente, ottiene una risposta dall’amministrazione capitolina. La piccola e preziosa sala, gestita da Zétema e genericamente associata alla Casa dei Teatri e della Nuova Drammaturgia (secondo il progetto della precedente giunta) prevede per ora solo un pugno di appuntamenti aperti al pubblico. Alcune proposte arrivano dal territorio (tra queste la serata del 19 gennaio in memoria di Franca Rame a cura delle Università di Tor Vergata, Roma Tre e La Sapienza e i saggi dell’Accademia d’arte drammatica Silvio D’Amico tra maggio e giugno), altre dal dipartimento cultura (come i premi Cappelletti e Nicolini o lo spettacolo Ocean Terminal dedicato alla memoria di Piergiorgio Welby), altre ancora dalla stessa Casa dei Teatri (una giornata di osservatorio critico e dibattito con gli autori contemporanei).
Per la maggior parte del tempo il teatro sarà in realtà occupato dalle residenze di giovani compagnie selezionate tramite un bando pubblico che verrà promulgato oggi. Da febbraio a maggio, un mese ciascuno, le quattro compagnie vincitrici useranno la sala teatrale e i finanziamenti pubblici che saranno loro assegnati per le prove dei loro spettacoli per poi, al termine della residenza, metterli in scena qualche giorno. I gruppi vincitori s’impegneranno, in cambio, ad organizzare attività rivolte al territorio.
Un altro spazio, quindi, senza un’idea. O con un’idea non giusta per il luogo. Le residenze sono ospitalità, più o meno sostenute con finanziamenti, che consentono alle compagnie di lavorare sul proprio spettacolo in uno spazio reso disponibile come sala prove. Il gruppo da lì può proporre approfondimenti, laboratori, incontri, workshop rivolti al territorio e moltiplicare l’offerta artistica e formativa. Una buona pratica, da incoraggiare certamente, per aiutare i gruppi sul territorio, ma di certo inadatta ad uno spazio come il teatro di Villa Torlonia. Per compiacere la nostra esterofilia, si possono citare esperienze inglesi, olandesi, francesi, spagnole e tedesche, ma la differenza con il teatro di Villa Torlonia è netta: in ognuno di quei casi – The Place, Dansateliers, Centequatre, Casa Encendida, Bethanien – la scelta è caduta su edifici dotati di molte sale, quindi polifunzionali per vocazione, non su un teatro piccolo e prezioso come quello di cui parliamo, collocato all’interno di un giardino da sogno. Un ex-fabbrica (il lanificio?), un ex-scuola (l’ex-Righi di Via Sicilia con tanto di Teatro delle Arti da recuperare al teatro e ristrutturare), una ex-caserma (Via Guido Reni?): qualsiasi spazio sarebbe più adeguato alle residenze rispetto a quel «teatro delle meraviglie» per cui il Comune ha speso nove milioni di euro di restauro e cinque anni di lavori.