Elisa Campana
Lettera da Londra

Detassate Shakespeare!

... e Pinter e Bond e... tutto il teatro inglese è prossimo a un abbattimento significativo del carico fiscale. Perché? Il governo riconosce il «valore unico che il teatro apporta all’economica britannica». E da noi?

Si sta procedendo per la strada giusta? Sentite questa storia e poi decidete. Il governo inglese sta attuando una nuova politica culturale che piace, e non perché promette con frasi vuote di cui il politichese ha fatto il suo stendardo, ma perché fa quello che un governo dovrebbe fare: cose concrete. Una verità talmente semplice da sembrare scontata, ma è sempre meglio ricordarlo in un Paese, il nostro, allo stremo proprio perché di “fatti” da politicanti strapagati, corrotti e, nella migliore delle ipotesi, semplicemente disinteressati, ne abbiamo visti ben pochi.

Tutto era cominciato con le agevolazioni fiscali per le produzioni cinematografiche che permettevano alle case cinematografiche di recuperare fino al 20-25 percento di quanto speso. Lo stesso Ben Roberts, direttore del BFI, la maggiore istituzione cinematografica britannica, in un’intervista all’emittente americana CNBC aveva sottolineato come la nuova politica avrebbe attirato molte produzioni hollywoodiane. Non è un caso, infatti, che grandi successi come Il trono di spade, Iron Man, Thor 2 siano approdati sulle fiscalmente accoglienti spiagge britanniche.

E ancora. Secondo l’Autumn Statement, dichiarazione del 5 dicembre sulle future politiche economiche, il governo agevolerà ulteriormente i piccoli e grandi produttori permettendo uno sgravio fiscale del 25 percento sui primi 20 milioni di sterline stanziati per una nuova produzione. Inoltre, per beneficiare dell’alleggerimento sarà sufficiente spendere solo il 10 percento del budget iniziale in Gran Bretagna (prima era il 25 percento). Non ci sarà da sorprendersi, quindi, se i nuovi kolossal avranno scenari che più British non si può.

Ma non ci si è fermati qui e il governo ha deciso di riconoscere il “valore unico che il teatro apporta all’economica britannica”. Così, previa approvazione nel 2014, dall’aprile 2015, verranno beneficiati tutti quei teatri che investiranno in produzioni ex novo o spettacoli i cui tour toccheranno teatri regionali. Quest’ultimo punto, in particolare, è un segnale forte che vede un riconoscimento alla scena teatrale periferica, sganciandola dall’imperante centralismo di Londra e dei suoi grandi teatri. “Troppo spesso tutte le strade portano a Londra” in termini di fondi governativi e riconoscimenti, lasciando poco spazio a quei teatri che di periferico hanno, invece, soltanto la posizione sulla mappa geografica. E lo sa bene la JMK Trust, un’organizzazione che ha come ‘missione’ quella di scovare e premiare giovani, brillanti, e ancora sconosciuti al grande pubblico, registi teatrali; spesso con workshop in altre importanti città del regno come Bristol, Edimburgo, Manchester, Salisbury.

Insomma, la Gran Bretagna sta valorizzando il proprio bagaglio artistico, sta dando un indirizzo alla produzione culturale, sta cercando di attirare capitali e investitori stranieri perché, si sa, la cultura arricchisce non solo l’animo ma, se vogliamo dirla terra terra, anche il portafoglio. Sarà forse il caso di prendere esempio?

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