Consigli per gli acquisti/3
Cercasi ossessioni
Ossessioni letterarie, ovviamente. Come quelle che legavano Freud a Schnitzler. O che governano i gialli di Ian Fleming. Ma anche le storie di Philippe Vilain e Diana Pulsoni
LA MENTE. Il legame tra psicoanalisi e narrativa è studiato, confermato e ancora affascina gli esperti, tra cui quelli della neurobiologia. È storia secolare, ormai, che torna di tanto in tanto alla ribalta (e per fortuna della scienza). Nell’Età dell’inconscio, di Eric R. Kandel, docente alla Columbia University (Cortina editore, 506 pagine, 39 euro) si esplorano vari campi, come cita il sottotitolo: «Arte e mente e cervello dalla grande Vienna ai nostri giorni». Nel capitolo dedicato alla «Ricerca del significato interiore della letteratura» si evidenziano immediatamente alcune coincidenze. In particolare tra Sigmund Freud e Arthur Schnitzler, sono entrambi medici austriaci. Il primo votato interamente alla psicoterapia (della quale è stato il fondatore), il secondo, dopo la professione medica, rivolto esclusivamente alla narrativa. Coincidenze, dicevamo: mentre Freud pubblicava L’interpretazione dei sogni, Schnitzler introduceva nella letteratura austriaca il monologo interiore. Tecnica che gli consentì di far muovere i suoi personaggi immaginari evidenziando l’andamento naturale dei pensieri privati e delle fantasie individuali. Un lavoro difficile, enorme direi, anche perché lo scrittore intendeva consentire ai lettori di accedere direttamente alle dinamiche mentali dei personaggi.
Negli stessi anni, Freud cercava, con successi e insuccessi, di penetrare nella mente dei suoi pazienti ricorrendo alla tecnica delle libere associazioni. Il narratore usò questo metodo per la prima volta nel romanzo Il sottotenente Gustl (uscito, guarda caso, nel 1900, anni di svolta per Freud). Altra coincidenza, per nulla trascurabile: Schnitzler comprese «la pervasiva importanza del sesso». Annotazione curiosa: dai diciassette anni in poi tenne un minuziosissimo diario sulle sue (molte) esperienze sessuali. Iniziò, tra l’altro, a frequentare, e a studiare, le prostitute dopo aver compiuto 16 anni. Una sorta di ossessione autobiografica, poi trasferita nei personaggi, la maggior parte dei quali vive «una sessualità iperattiva e auto consapevole». Infine, con la sua pria commedia, Anatol, portò l’autoanalisi sul palco. Il donnaiolo Anatol ricorda quanto si comporta secondo quel canone che Freud definiva “doppia morale. Il personaggio, molto complesso, è per sua natura infedele a ogni rapporto, ma pretende l’assoluta fedeltà da ogni donna con cui ha una relazione. Altra coincidenza: il romanzo Verso la libertà (1908) affronta il tema dell’antisemitismo a Vienna. Insomma offre lo spunto a Freud per scrivere Mosè e il monoteismo, dove l’antisemitismo verrebbe analizzato come versione del complesso di Edipo. In altri termini il disturbo profondo di Edipo assume «la forma dell’avversione di un figlio per la religione del padre». L’intreccio tra analisi e scrittura è strettissimo. E non solo a Vienna all’inizio Novecento.
INGANNO. Questo romanzo sottile e tormentato entra nella mente del marito di una moglie inaspettatamente infedele. Autoanalisi sincera e crudele di un cornuto: infatti così il protagonista, Pierre Grimaldi, chiama se stesso. Resoconto acuto di Philippe Vilain in La moglie infedele (Gremese editore, 157 pagine, 16 euro) Il protagonista scopre per caso un sms nel cellulare della consorte, Morgan Lorenz, la quale ha scritto: «Sono tutta tua, sono la tua porca». Lui non dirà nulla per parecchio tempo, analizzando, con nostalgia e dolore, il rapporto coniugale. La prima sorpresa con cui deve fare i conti è il sapere, dopo otto anni di matrimonio, che Morgan ha sempre evitato un linguaggio così esplicitamente erotico. Sua moglie, alquanto passiva a letto, «non parlava molto di se stessa, per pudore, per discrezione, perché non riteneva la sua vita molto interessante». Pierre è un contabile, in grado di spiegare la scelta professionale: «Mi definivo un sognatore, un sognatore, se vogliamo sarebbe finito male, e che, al posto delle parole, aveva scelto i numeri per dimenticarsi, un’altra lingua per esiliarsi. Si dice che esistano tre tipi capaci di esseri capaci di estrazione: i matti, i metafisici e i contabili». Pierre continua a pensare alla moglie, analizza i suoi comportamenti. Anche intimi. Ricorda, pensando allo spacco di una sua gonne, alla sua «indecenza raffinata». Dall’infedeltà monsieur Grimaldi «si sente umiliato». Non prova più interesse per niente, lavoro compreso. Si defila, ha l’ossessione di essere additato come “il cornuto”. E il tormento procede, finché la coppia va in vacanza a Napoli. E sarà di fronte a quel mare che Morgan ammetterà e l’adulterio cercando di spiegarlo. Lo considera un errore grave ma anche una sciocchezza, di quelle transitorie. In ogni caso dalla bua bocca uscirà la “sua” verità: «Non mi appartenevo più… però avevo la sensazione di rivivere… non mi appartenevo più, non mi riconoscevo più… è stata una banale avventura per provare a me stessa non so cosa, di sentirmi desiderata, di sentirmi forse nuovamente donna… spero mi capirai». Non riveliamo altro, se non che Pierre, mentre la moglie rientra a Parigi, rimane a Napoli. Dove trova una svolta interiore. Appagante.
APLOMB BRITANNICO. È lecito porsi la seguente domanda: visto che la maggior parte di noi ha visto i film dell’agente 007 al cinema e alla televisione (recente è la riproposta da parte di Sky), perché mai leggere o rileggere i libri di Ian Fleming, autore della brillantissima serie interpretata dal fascinoso e donnaiolo James Bond? Semplice – perlomeno così a noi pare – la risposta: Fleming scrive bene, non ha uno stile sciatto, anzi è preciso e brillante. Infine tutti suoi libri, oggi riproposti dall’editore Adelphi (che, francamente, un decennio fa avrebbe snobbato storie di questo genere) hanno descrizioni di persone e ambienti sui quali il cinema, per esigenze temporali, sorvola (pur essendo ben confezionati. Stavolta è uscito Moonraker (Adelphi, 270 pagine, 18 euro). Diceva Raymond Chandler, che non è uno qualsiasi, anzi aveva un palato letterario finissimo: «Fleming è con ogni probabilità l’autore più brillante e avvincente di quelli che Inghilterra si ostinano a chiamare, se non sbaglio, thriller». Frase carica di ironia sull’ossessione classificatoria degli inglesi, e non solo quelli. In questa avventura, ovviamente ricca di colpi di scena, il nostro agente britannico, compassato e a volte consapevolmente vanitoso) deve scongiurare un attacco atomico ordino del “cattivo” Hugo Dax contro Londra. Fleming si documentava sempre. Per questo episodio aveva fatto ricerche accuratissime, consultando sia l’ente spaziale del suo paese sia Arthur C. Clarke (l’autore di 2001: odissea nello spazio). Quanto all’ambientazione notturna della sua storia, attinse alla propria esperienza, sia pure qua e là ritoccata. Il titolo che l’autore voleva scegliere era «I lunedì sono un incubo». Monnraker fa parte dei 14 romanzi di Fleming (1908-1964) e fanno seguito ai già editi, nel 2012 sempre da Adelphi, Casino Royale e Vivi e lascia morire.
VITA IN VILLA. In questo primo libro di racconti di Diana Pulsoni, i colpi di scena sono tutti intimistici. Ex insegnante di Ascoli Piceno, la Pulsoni procede con ammirabile leggerezza. Nel suo libro, La casa rosa (Capponi editore, 66 pagine, 10 euro) descrive minuziosamente, e con una memoria prodigiosa, Villa Lozzi (il primo proprietario era un medico), una costruzione elegante senza inglobare elementi pacchiani. Era stata sin dall’Ottocento, la residenza dell’omonima famiglia, circondata da un paesaggio integro e costantemente curato. La villa, vicina al paese di Colli, ha oggi altri proprietari. La protagonista, i cui nonni furono mezzadri fino agli anni Cinquanta, ha occasione di rientrare nella vecchia casa, e qui ricorda il ritmo dei tempi antichi, sinonimi di ordine e armonia oltre che di rispetto, direi condito dalla devozione, delle trazioni che passarono di famiglia in famiglia: matrimonio, figli, rispetto e cura per gli anziani. Gli uomini si dedicavano al lavoro, amandolo, sia nei campi sia nelle cave di San Marco a tagliare il travertino. Scrive l’autrice: «Quello era il modo giusto di vivere». La casa e il luogo stesso erano un filtro possente a riparo dagli orrori della guerra. Certo, arrivò la notizia di una fucilazione, ma in genere il brusio del mondo che pareva, ed era davvero, molto lontano confluì nell’alveo largo delle leggende popolari. L’autrice fa un inventario di muri e di arredi, ma la sua memoria emozionata trasforma tutto in un poco shakespeariano palcoscenico nel quale accadono le cose d’un piccolo mondo antico: l’episodio dello sciame di calabroni, la sistemazione, sul tavolo in terrazza, dei piatti di ceramica fine, le poste rigorosamente in argento. Tutto su un’immacolata tovaglia bianca. Voci, racconti, abitudini tutt’attorno. Se proprio si deve fare un appunto all’autrice è che questo proscenio è ingombrato di cose a dispetto delle vicende. Una cornice, entro la quale aspettiamo un maggior movimento. O sommovimento.