Paolo Petroni
Mezzo secolo da Calimero

Prima di Carosello

La réclame di ieri e gli spot di oggi: che cosa hanno in comune? Una inseguiva la vita reale, l'altra accarezza mitologie impossibili. Come dimostra il pulcino cinquantenne...

Calimero, il povero, tenero nero pulcino dei fratelli Pagot, esordì in televisione, nello storico Carosello per reclamizzare un detersivo, nel luglio 1963 e quest’anno ha quindi appena compiuto 50 anni. È una delle figure di allora che più hanno resistito e sono diventate simboliche, tanto da avere ormai vita propria, sganciata da un prodotto, e visto in molti paesi come il rappresentante e vittima delle ingiustizie, lui, così piccolo e nero. Insomma un altro mito creato in Italia e andato per il mondo, forse non a caso nato negli stessi giorni in cui usciva il primo disco, Please, Please Me, di una band sconosciuta, i Beatles.

Pare che Calimero, in Giappone, vada alla grande e, sul successo di propri cartoni animati, che a giorni arriveranno su Raidue, abbia prodotto gadget e merchandaising di ogni tipo. Insomma, un mezzo secolo da festeggiare e a Milano si sta per aprire una mostra dedicata a lui dedicata che ha per titolo la sua celebre esclamazione: «È un’ingiustizia però!», aperta dal 13 dicembre al 9 marzo 2014.

Ed è per ricordarlo che è nato questo raccontino sulla pubblicità di ieri e di oggi.

* * *

Il povero pulcino Calimero e il tenace signor Linea si incontrarono una mattina al Mulino Bianco, all’ora di colazione, trovandosi scaldati dal tepore del sole, tra i colori caldi di una bella giornata, con attorno campi dorati di spighe e prati fioriti. Dalle finestre poterono osservare all’interno un bel quadretto di allegria famigliare, con una madre che ha appena finito di preparare una ricca colazione per i suoi cari, con ragazzi golosi e pronti a far a gara col padre nell’intingere biscotti nel latte, prima di uscire per andare a scuola o al lavoro.

A Calimero, davanti a tanta assoluta serenità, venne subito una botta di malinconia. Attorno solo un silenzio e un vento leggero a far ondeggiare il mare di grano maturo, tutto è chiaro e luminoso e Linea si rende subito conto della situazione, anche lui a disagio, pronto, quasi istintivamente, a mettersi di profilo, così da rendersi praticamente invisibile.

Calimero, così nero, sempre messo da parte, ancora una volta si sentiva spettatore estraneo e col sospetto che non sarebbe stato il benvenuto, nel caso avesse dato qualche segno della sua presenza.

All’ora di Carosello mancava ancora molto tempo, pensavano i nostri due, sentendosi liberi per tutta la giornata, da passare all’aria aperta. Sullo sfondo non un bianco cavallo che corre su una spiaggia, ma un assurdo veliero fantasma, una barca a vela che scorre su un’autostrada. E al ritorno nessun incrocio con un tavolino da bar tra le automobili e gente padrona del proprio tempo, intenta serenamente a bere contro «il logorio della vita moderna», ma bei giovani che non fanno che chiamarsi al telefonino freneticamente, giovani sorridenti pur essendo privi di passato e di futuro, per i quali «la vita è adesso», senza speranza.

Calimero si sente sempre più dimenticato, diverso, e il suo compagno Linea si inalbera, stupisce e poi si appiattisce quasi esterrefatto, adattabile ma sopraffatto. Sino a sera quando la delusione si fa cocente: Carosello non c’è più, sostituito da veline e pacchi, ambedue sostanzialmente vuoti, ma alla fine premiati per non si sa quali meriti.

Nell’ora del crepuscolo, mentre si allungano le ombre della sera, è come sentirsi orfani e sfrattati, senza casa. Per fortuna l’oscurità favorisce il nero Calimero che riesce a non farsi notare e a nascondere la propria profonda malinconia, quella che condivide e crea cedimenti nella Linea, che prendono la forma di gocce, come tristi lacrime simboliche. Allora l’immagine della mattina intravista al Mulino Bianco non può non tornare in mente, serena e solare, ma in essa Calimero e l’omino non trovano quel po’ di calore, quella consolazione che si aspettavano. In tutta quella giornata, a cominciare da quella famigliola a colazione, c’è, secondo loro, qualcosa che non torna, un’assenza di vita, una sostanza di plastica, un qualcosa che non risuona davanti al tocco dei sentimenti. 

Calimero infatti soffre, in genere, o gioisce, raramente: insomma vive davvero, mentre nel favoloso mondo  delle pubblicità, anzi degli spot di oggi, tutti sorridono eternamente ebeti. La verità è che non c’è più storia, letteralmente, e se c’è si lega sinteticamente al prodotto, mentre ai tempi di Carosello il filmato di due minuti, o il cartone animato, non doveva nemmeno menzionare o alludere al prodotto, che si collegava a sorpresa nel finale. È in questo spazio che anche il signor Linea poteva vivere la sua esistenza multiforme di creazione continua del suo io: piatto certo, ma imprevedibile e pieno di sorprese, nel procedere sulla sua linea d’equilibrio. Col vantaggio che in un mondo a due dimensioni, si scansano molte cose, ma se ne vedono anche molte altre, oggi che la profondità e banale dietrologia e solo restando in superficie si possono scorgere davvero le cose e cercare di capirle.

È in quello spazio che il pubblico di allora si lasciava andare e veniva conquistato dai personaggi e le situazioni, le parodie e le provocazioni, le ricostruzioni storiche garibaldine o quelle avveniristiche del pianeta Papalla, l’esotismo messicano di Carmencita e il sano, oliato provincialismo di Maria Rosa. 

Ci sono voluti cinquant’anni per capire che la vita è un Carosello, una giostra di siparietti, certo, ma soprattutto un mondo di illusioni e aspirazioni non del tutto o sempre irraggiungibili che, comunque, sono quelle che ci fanno andare avanti. Mentre la perfezione patinata e irraggiungibile, ci blocca, ci frustra alienante.

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