Il nostro inviato a Roma
TIR non è GRA
Non basta mettere insieme storie-non storie con interminabili silenzi per realizzare un capolavoro: Alberto Fasulo col suo film non è riuscito nell'impresa . Anche “Another me” di Isabel Coixet appare un esercizio inutile...
Se poi penso che ci siamo fatti la Flaminia intasata alzandoci sul fare giorno e imprecando contro il traffico che rischiava di non farci arrivare in tempo alla proiezione di questo film, be’, capite che ci rode un po’, un po’ tanto. Perché gli interminabili 90 minuti di Tir diretto da Alberto Fasulo sono davvero quanto di più vuoto e presuntuoso si possa produrre. Se a questo aggiungiamo che la scrittura (?) di questo miracolo è durata più di quattro anni allora il mistero si fa davvero inesplicabile. Ma cosa hanno fatto gli autori in questi quattro anni? Forse hanno sviluppato una formidabile rete di relazioni, tanto è vero che il film è entrato in concorso al Festival Internazionale del Film di Roma. E tra i tre italiani in gara è, di gran lunga, il peggiore.
Purtroppo, dopo il successo di Sacro GRA che, vale la pena ribadirlo, è solo una tappa e nemmeno d’arrivo di un percorso che Gianfranco Rosi ha intrapreso molti anni fa, si è portati a pensare che mettere insieme storie non storie, con lunghi silenzi, dal gusto vagamente documentaristico, sia sufficiente per realizzare un capolavoro. O comunque qualcosa di commestibile. Sembra di assistere di nuovo a quanto avvenuto molti anni fa quando Wim Wenders realizzò Alice nelle città, che diede a molti presunti cineasti la convinzione che per fare un film in fondo servisse molto poco. Una cinepresa, un registratore di suoni e un’idea (soprattutto un’idea). E successe che mai come allora, come da allora, furono realizzate un numero imprecisabile di autentiche ciofeche.
Mutatis mutandis anche il il regista Tir vorrebbe essere qualcosa che non è. Perché non tutti sono Wim Wenders, né Gianfranco Rosi. Che forse non ha realizzato un capolavoro ma che in confronto a certi emuli o presunti tali sta a loro come Billy Wilder a Fausto Brizzi. Purtroppo il re spesso è nudo, e il nulla è il nulla.
L’altro film in concorso, Another me di Isabel Coixet, è un altro esercizio inutile che alla fine scatena anche l’ilarità della sala. La regista, che in realtà scegliamo di ricordare per La mia vita senza me, si fa un po’ prendere la mano e dimostra di non saper padroneggiare le atmosfere inquietanti di cui infarcisce il film. C’è sempre qualcosa di più, spesso di sbagliato. Spiega troppo, e questo è un errore imperdonabile. Come quelle signore che stanno davanti allo specchio e invece di usare il trucco per rendersi più attraenti finiscono solo con l’impiastricciarsi il viso.