Pier Mario Fasanotti
Consigli per gli acquisti/1

Nel labirinto dei libri

Comincia una carrellata di suggerimenti di lettura in vista delle Feste. Partiamo con la narrativa italiana: da Marco Montemarano a Mario Desiati, da Marcello Fois a Anna Marchesini

Famiglia. Tra le tante lamentazioni che noi italiani lanciamo alla luna figura una che riguarda la letteratura. Questa: oggi non ci sono più bravi scrittori. A tale ululato, che oggi si dilata anche nel web, è agganciata una domanda: come si fa a far leggere e giudicare il proprio manoscritto da un editore che, lo sappiamo, è assaltato da migliaia di proposte? Come si fa a veder pubblicato il proprio romanzo, senza accludere una robusta o minacciosa lettera di raccomandazione? L’editore Neri Pozza ha scompigliato le carte l’anno scorso lanciano il primo concorso letterario. Questa è una grande novità: è come aver abbassato il ponte levatoio del castello editoriale, in fondo al quale è stato piazzato il premio di 25 mila euro. Un record, in Italia. Secondo passo: sono stati scelti cinque finalisti che, in un certo senso hanno imbarazzato la giuria perché tutti, ci è stato assicurato, erano di buona qualità. Alla fine è stato scelto il vincitore. Si chiama Marco Montemarano, il quale ha obbedito alle regole-consigli date dall’editore: niente gialli, niente racconti col sapore di portineria o di provincia, meglio un arco narrativo che comprendesse luoghi internazionali. Si può criticare questo spartiacque: lo si può fare ricordando Carlo Emilio Gadda, Piero Chiara e George Simenon e Pierre Lemaitre, il giallista francese di 60 anni che ha vinto l’ultimo premio Goncourt. Tanto per fare tre nomi. Montemarano comunque, con il romanzo Ricchezza (271 pagine, 17 euro), offre una lettura di grande tenuta, del tutto affrancata dai canoni dello sperimentalismo e dello zuccheroso intimismo.

montemarano la ricchezzaSe il lettore si sente un po’ disorientato all’inizio con la comparsa in scena di tanti nomi, di persone e di luoghi, da pagina trenta in poi il canovaccio va avanti spedito. E anche in modo elegante (ma mai lezioso o barocco o sciatto). L’io narrante è l’adolescente Giovanni, milanese trasferitosi a Roma, orfano di madre, silente accanto a un padre silente: le parole non vengono fuori. Tra tanti suoni e rumori, manca proprio il flauto della parola e questo buco nero marchia la generazione anni Sessanta, in pieno caos adolescenziale e sociale. Giovanni sopperisce all’afasia dell’anima intrufolandosi nella disfunzionale famiglia Pedrotti: padre onorevole e trafficone madre distratta e praticamente assente nelle dinamiche del gruppo, e poi i tre figli, Maddalena nevrotica e selvaggia, il rugbista e rockettaro Fabrizio dal corpo monumentale, e Carlo, il minore, vittima degli scherzi quasi delinquenziali del fratello, che ignora il suo disturbo, la garlalesi (paura d’essere toccato o solleticato), e lo tortura. Giovanni ha una superficiale iniziazione sessuale con Maddalena e s’incunea negli interstizi irrazionali degli altri due, eleggendo a propria famiglia quell’accozzaglia di gente che vive tra lusso e privilegi.

Svaniscono gli anni delle “canne” e delle “0kkupazioni”, ognuno sceglie una strada straniera: Berlino, Vienna, Buenos Aires, eccetera. E ognuno rincorre l’altro, si ritrova e si riperde. Gli squattrinati fratelli Pedrotti s’arrangiano ma alla fine raggiungono la più armoniosa delle ricchezze (di qui il titolo), ossia la fratellanza. Mentre Giovanni, che si sente colpevole d’aver provocato per uno scherzo scemo l’infarto del ricco parlamentare, è afflitto dalla difficoltà di “confessare”.  Tutti i suoi ricordi, dice, sono pieni di sabbia, come quella di Torvajanica, dove giocava da bambino. Ma alla fine, cinquantenne, guarda in faccia il grumo primario della sua esistenza: «… so che se mi sono infilato tra di loro è perché non ho una vita mia». Ai lettori il piacere di scoprire il finale, che ha un vago retrogusto tra Pirandello e Calvino.

desiati amore proibitoAMORI DISPARI. È una narrazione, quella di Mario Desiati, di amori considerati impossibili. Eppure forti, radicati nella confusa e vitalissima giungla adolescenziale che confina con il senso dell’ineluttabile e la perversione. A Martina Franca, Desiati (è nato proprio lì, in Puglia) ambienta le sue ombre inquietanti e sincere con il romanzo (Il libro dell’amore proibito, Mondadori, 197 pagine, 17,50 euro) che procede a scatti, come una serie lunga di fotogrammi. L’incipit che spinge il lettore a proseguire spedito, anzi speditissimo, è molto efficace: «Se voi della giuria non ritenete le vostre passioni al di sopra di ogni divieto, vuol dire che non avete mai amato». Parrebbe, a prima vista, un carteggio processuale. No, non lo è, anche se le regole dei codici c’entrano perché formano, tutte assieme, quel che si chiama divieto. Le passioni vietate ricordano il Nabokov di Lolita, ma bisogna rovesciare l’appartenenza sessuale dei protagonisti. A buona ragione si potrebbe parlare di un “lolitismo” al femminile.  E non mancano casi di cronaca, a questo proposito. Qui, a Martina Franca sono i ragazzi a subire – e quanto è bello subire anche se è tormentoso! – il fascino di due professoresse. Le quali non restano di sadico marmo, ma continuano a essere carne tra carne fremente e tra sogni reali e masturbatori. Desiati, che è anche primo editor della casa editrice Fandango, ha avuto modo di spiegare l’ambientazione meridionale del suo romanzo: nel sud la condizione di precarietà lavorativa fa sì che alcuni si concentrino su valori forti e antichi, quasi desueti al tempo della forzata indifferenza. Ecco allora che aggettivi come “disperato”, “amoroso” e “tenero” diventano boe attorno alle quali far ruotare l’esistenza, almeno la prima parte di essa. L’autore ben descrive la professoressa Donatella che si siede tra i banchi degli alunni, li guarda come forse nessuno li ha mai guardati, parla con loro, e con un’istintiva sensualità indossa i panni del più diffuso desiderio dei quattordicenni: la donna che accoglie, che è disponibile all’ascolto e ad altro, morbida, foriera di attrazione irresistibile. E loro, i ragazzi, scavalcano la linea sottile della propria evoluzione emotiva, sfidando divieti, consuetudini, barriere familiari e sociali. Uno dei ragazzi, chiamato “Veleno”, si dimostra in grado di aspettare. Nel frattempo scoprirà d’essere circondato da amori indicati come sbagliati o devianti. Compresa la devozione carnalissima dei suoi compaesani al culto dell’Addolorata.

fois luoghi comuniIL NON DETTO. Due gemelle di 48 anni entrano nella casa di quel padre naturale che le abbandonò quando loro avevano soltanto otto anni. E la casa, per dirla nel gergo della fisica teorica, è il punto, certo difficile da trovare, in cui convergono le ipotesi più inconciliabili. Qualcosa che somiglia all’Universo. Alessandra e Marinella, ciascuna con un passato molto diverso, si ritrovano proprio lì, tra pareti che parlano, tra mobili riconosciuti appena, tra i quali tuttavia emergono, come funghi bizzarri e incontrollabili nella loro crescita smisurata, ricordi e rancori. Emozioni utili, ma dolorosissime. Una delle due scopre da una vicina che la sorella era stata già in quel luogo. E glielo rinfaccia con veemenza. Alessandra obietta: «Era per noi! Ho pensato che almeno qualcosa ci spettasse da questo schifo di padre che ci era toccato in sorte, no?». E così Marcello Fois, ne L’importanza dei luoghi comuni, Einaudi (137 pagine, 12,50 euro), ci conduce in vari strati sotterranei dell’una e dell’altra donna. Una accusa l’altra di omissioni, «il ché non è necessariamente mentire… è non dire». E la sorella: «Non dire. Capisco: la stessa cosa succedeva tra me e papà… quando tu ti addormentavi sicura che anche io fossi addormentata… ci mettevamo d’accordo perché il fingessi di dormire in modo da poter avere un po’ di tempo per noi dopo…». La gemella: «L’avevo capito… voi credevate di farmela… ma anch’io fingevo, fingevamo tutti, è per questo che è finita come è finita, no?». Alla fine sono d’accordo: «Non c’era amore… per questo è finita».

marchesini moscerineIRREPRENSIBILE. La professoressa di matematica Maria Luce Colli è giunta a Venezia dalla Basilicata. Con un figlio e basta. Alle sue spalle, in quella provincia giudicante e arretrata, erano spuntati dappertutto le dita contro quando, messa incinta da «un giuggiolone imberbe di neanche vent’anni» era diventata ragazza madre. Quindi nessun lavoro, porte chiuse, nessuna amicizia, figuriamoci l’ospitalità. E via, allora. Sul primo treno senza una precisa destinazione. La vista di Venezia la rallegra, l’estetica urbanistica spazza via l’amarezza e le indica una strada da percorrere a passo di marcia. Tanto una laurea in tasca ce l’ha. E a scuola il suo fisico, forse per una strana “evoluzione geologica” diventa calamita. Malgrado l’abbigliamento più che sobrio, persino dimesso, il suo seno pare esplodere. E a questo punto l’autrice, Anna Marchesini, bravissima attrice ma anche laureata in psicologia, pare che salga sul palco a parlare di quel seno, scrive che stato soprannominato “parlante” a causa della sua non imbrigliabile esuberanza: «…quelle mammellone traballavano insieme ad ogni piccolo scotimento del busto». Eppure Maria Luce era timoratissima e riservatissima, «incolpevole delle sue grazie tentatrici». Sì, sempre a causa delle sue «tentazioni luciferine, due pericoli, due autentici attentati alla salute mentale e morale». Inizia così Evidenze, uno dei nove racconti della Marchesini, raccolti col titolo Moscerine (Rizzoli, 249 pagine, 17 euro). L’incipit comico, che mai scende a gradini da avanspettacolo di periferia, ha come seguito la scoperta della cecità progressiva del figlio, l’affanno della madre nel cercare un rimedio. E allora va in Russia per salvare il suo Emanuele. S’imbatte nell’«illustre balbettio degli esperti e tutto il bugiardo allarmismo sedentario e vigliacco». Sì, il ragazzino lo operano, lo possono allontanare dal buio perenne. Ma l’operazione costa. Ed ecco che Maria Luce si stacca da sé: la sua essenza è accanto al letto del figlio, il suo corpo nei letti degli altri, persino nei locali più equivoci. Fa la prostituta, una volta «spenta ogni reattività», con un cuore «inerte, o meglio, almeno in parte come un tessuto di una trama impermeabile capace di non sentire ma di distrarsi, di rendersi indifferente amorfa…era come se certe parti della sua anima potessero ormai, contro le offese, sviluppare una sorta di anestesia». Tornerà nella provincia veneta. Un passato dubbioso, un passato prossimo sconosciuto, eppure diventa la santa che ha lottato per il figlio. Scrive la Marchesini: «A guardarla la mattina quando seria seria si avvia a passo lesto per raggiungere la scuola sembra un militare in marcia, ecco cosa sembra; nulla ma proprrio nulla lascerebbe intendere che insomma…potrebbe far sospettare che nella sua vita…nulla nulla via!. Non fosse che per quel seno! Ah Benedetta Madre quel seno! Ma quel senso professoressa Colli…».

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