Le storie di gente ordinaria
L’Italia che resiste
Luca Martini ha raccolto in un libro le avventure di alcuni italiani che hanno provato a opporsi alla deriva consumistica e ultraliberista del paese. Costruendo delle isole di solidarietà
C’è un’Italia che resiste, lotta e si ribella in modo pacifico e costruttivo e gli esempi potrebbero essere tanti sparsi su tutto il territorio nazionale. Luca Martini, nel suo libro Extra Ordinary People (edizioni presentARTsì, 160 pagine,11 euro), ci narra di quattro storie, quattro città e una nazione sullo sfondo, l’Argentina. Non, quindi, di un libro di narrativa e nemmeno di storia nel senso classico. Parliamo piuttosto di storie di tutti i giorni.
Montichiari, in provincia di Brescia, ci offre la prima storia, quella dell’associazione Un sorriso di Speranza nata nel 2009 per fronteggiare gli infausti esiti di quella che ormai viene chiamata spending review, recando offesa alla lingua italiana. Tutto nasce dalla palestra dell’Ospedale cittadino che nel corso degli anni si è trasformata in un centro di fisioterapia infantile per la riabilitazione e il supporto a bambini disabili in età prescolare. E cosa pensano gli amministratori dell’ospedale di Brescia? Chiudiamo Montichiari e il suo centro di riabilitazione. Nel racconto e nelle interviste di Martini ci si rende conto della potenza dell’associarsi, dell’autodifesa e della reazione all’abbandono. Delle difficoltà delle famiglie lasciate spesso al loro destino.
La seconda storia, di memoria e di attualità, inizia in Argentina con l’avvento del Generale Videla e dei suo accoliti, con il terrore, i desaparecidos e l’emigrazione forzata, cosa che accade anche per la famiglia Puletti. Così Esthèr è diventata Ester ed è ringiovanita di 10 giorni per gli errori dell’ufficiale dell’anagrafe. Da qui si snoda il racconto di Esthèr, dell’infanzia argentina, del papà che non parlava mai dell’Italia ma che cucinava piatti italiani e poi la storia di Guido, il fratello salvatosi dai carnefici argentini e morto in Bosnia dove era andato come giornalista e poi l’Artistica Brescia, e poi … non vi tolgo il piacere della lettura.
La memoria ha voce per chi la vuole sentire. A Casale Monferrato alcuni giovani l’hanno sentita tanto bene da chiamare la loro associazione “Voci della Memoria”. Quella di Casale Monferrato è una voce che viene dalla polvere impalpabile che non ha ancora finito di mietere vittime, è la polvere d’amianto. È impressionante passare davanti alla fabbrica dismessa dell’Eternit, vedere lo stato di abbandono, la bonifica che langue e pensare nello stesso tempo che per osannare il dio denaro tanti operai e semplici cittadini, che con l’amianto non hanno mai avuto nulla a che fare, continuano a morire. I giovani di “Voci”, insieme con l’Afeva e la sua presidentessa Romana Blasotti, sono lì per ricordare il dramma di Casale, che condivide con molti altri paesi e città, e non solo, attivi e presenti dove c’è bisogno di fare gruppo, massa, per ricordare le inadempienze di singoli e di enti siano essi locali o nazionali. Purtroppo non mancano, in questo nostro martoriato paese, le occasioni per far sentire il grido di protesta e di solidarietà di Voci della Memoria. Sono belle le parole di Luca, Michela, Diego, Pamela e Romana, sono parole, in fondo di speranza.
Il viaggio nell’Italia che resiste si chiude in quello che stupidamente viene definito profondo Sud, come a richiamare un pozzo senza fine dove tutto si confonde con il buio della profondità. È la storia del Centro Antiviolenza Thamaia di Catania ormai attivo da più di dieci anni. È l’ennesimo esempio di come l’associazionismo riempie il vuoto del pubblico, dello Stato e dei suoi enti. Donne volenterose che hanno deciso di mettere a disposizione di altre donne le loro capacità e professionalità per combattere la violenza che le vede vittime. La violenza familiare, fisica, morale e anche economica. È una storia ricca di umanità, di passione, forza d’animo e altro ancora. Ma anche chi scrive corre il rischio del banale quando si parla di donne e delle violenze che noi maschi siamo capaci di porre in atto. Piuttosto che banalizzare meglio lasciar parlare loro dell’esperienza che portano avanti. Alla fine del capitolo dedicato a Thamaia un breve scritto di Anna Pramstrahler sul significato dei Centri antiviolenza nella lotta alla violenza contro le donne.
Belle storie di una bella Italia, che nonostante tutto ancora resiste. Storie di gente straordinariamente normale. Con qualche refuso di troppo e qualche frase involuta che non inficiano comunque il valore del libro.