Un libro e un musical
La spia che ballava
Alla riscoperta di Alberto Spadolini, detto "Spadò": amico di De Chirico e Bragaglia agli indipendenti, poi sodale di Josephine Baker, Cocteau, Gabin, Carné... Insomma, il Nijisky italiano. In missione segreta nella Berlino di Hitler...
La spia con licenza di danzare: non è un libro di Fleming, né tantomeno protagonista è l’agente segreto più amato dal cinema. Il James Bond di cui parliamo è l’italiano Alberto Spadolini: intrepido e sexy come 007, circondato da donne affascinanti e personaggi del jet set internazionale, in perenne movimento tra mondo dello spettacolo e della politica, ambienti raffinati e scenari di guerra. Una figura leggendaria, a cavallo tra gli anni Trenta ed i Settanta, che sembra quasi essere stata inventata dal team Eddy & Kat Hawks che, a maggio 2014, metteranno in scena con l’American Ballet of Los Angeles ed in collaborazione con Throun Dance il musical The Extraordinary Life of Alberto Spadolini. Eppure la straordinaria vita di “Spadò”, pittore, restauratore, ballerino, scenografo, ipnotista, poeta, attore, cantante, poliglotta e giornalista, è vera dalla a alla zeta, come testimonia l’archivio ritrovato, per puro caso, dal nipote Marco Travaglini in una soffitta delle zie a Fermo. Ed è da quella data, 2005, che inizia la riscoperta del poliedrico performer, nato ad Ancona nel 1907 e morto nel 1972 a Parigi, dove è sepolto nel cimitero di Ouen. O, per dirla tutta, la riscoperta in Italia, giacché in Francia e Svezia il suo nome compare tra le personalità di spicco della cultura del XX secolo.
È una vita parallela quella che scorre lungo le pagine della biografia Il danzatore nudo: la vita segreta dell’eclettico artista Alberto Spadolini (Andrea Livi Editore), scritta dal nipote e da cui ha preso spunto il musical americano e probabilmente un film, di cui regista e produzione sono ancora top secret. Si sa qualcosa della trama, una sorta di spy story esoterica come suggerisce il titolo provvisorio Spadolini & The White Stone of Mecca. Sullo sfondo la Germania di Hitler: non a caso, visto che l’intrepido erede di Mata Hari lavora nei servizi segreti francesi, introdotto dalle sue partner – non solo sulla scena – Mistinguett e Joséphine Baker. È la prima a lanciare il giovane marchigiano dal corpo statuario, che danza come ispirato da visioni soprannaturali, nel Music-Hall. Lui – sono gli anni Trenta – è da poco approdato a Parigi, in fuga dall’Italia dopo che Mussolini ha chiuso il Teatro degli Indipendenti, luogo privilegiato delle avanguardie artistiche italiane, in cui è aiuto scenografo e pittore accanto a De Chirico, Prampolini e Marinetti.
Ma nella capitale francese l’avventuroso decoratore di Gabriele D’Annunzio (è il Vate ad avviarlo al palcoscenico facendolo esibire con Ida Rubinstein ne Le martyre de Saint Sébastien, musicato da Debussy), arriva già con un pedigree e un bagaglio di gossip poderoso, forte del nome d’arte, “novello Nijisky”, affibbiatogli da un impresario che lo ha visto muoversi come “un dio della danza” mentre dipinge le pareti di una sala da ballo della Costa Azzurra. I primi successi come “Premieur Danseur de l’Opéra de Monte Carlo” al fianco di Serge Lifar, la fuga amorosa con la moglie di Jean Renoir, gli spettacoli di beneficenza, le lodi di poeti come Paul Valery che lo definisce “mitologico, mistico, faunesco” o di critici come Fernand Divoire che parla di “fenomeno”. Ma a decretare il bel Spadò stella internazionale sarà la Baker con cui farà coppia al Casino de Paris fino alla burrascosa tournée a Londra – lo racconta la cantante e ballerina – che decretò la fine della loro appassionata love story. Poco importa. C’è il richiamo delle Folies Bergére e l’incontro che lo introduce al cinema con l’esordiente Jean Marais e il primo film L’épervier con la principessa Natalie Paley, cugina dello zar Nicola II e legata sentimentalmente a Jean Cocteau.
Ancora applausi e riflettori accesi: il maestro Enrique Juvet gli dedica la musica del Bolero-Spado, la teoria di film come Marinella di Pierre Caron, Le monsieur de cinq heures con la seducente Mila Pareli, Le jour se léve (nella foto qui accanto) con Marcel Carné, Jacques Prévert e Jean Gabin, Le quai des brumes diretto da Carnè, sceneggiato da Prévert, con Jean Gabin e Michéle Morgan, premiato alla mostra di Venezia del 1938. L’altra faccia è l’impegno nella Resistenza, la «sua guerra generosa, pericolosa e incosciente», scriverà il giornalista Jean-François Crance. Spadolini è di casa nelle ambasciate e nelle agenzie di spionaggio, collabora con Adholpe Rizzo per conto del presidente Paul Reynaud, porta nei suoi tour all’estero messaggi cifrati. Ed eccolo in missione a Berlino – è il 1940 –: l’occasione è uno spettacolo in occasione del settantesimo compleanno di Franz Lehar, dove danza davanti al Fuhrer e ai suoi gerarchi. Ed eccolo l’anno successivo a Stoccolma insieme al misterioso Yves Gyldén, capo del gruppo dei crittoanalisti francesi. In Svezia Spadò fa compagnia con Betty Bjurstrom, “strana combinazione”, moglie del doppiogiochista Renato Senise, nipote del capo dell’Ovra, la polizia politica di Mussolini.
A fine guerra il ritorno trionfale a Parigi. Nel nuovo capitolo torna in primo piano la mai dimenticata pittura. «Sono dipinti – racconta Travaglini – legati alla danza, ballerine e danzatori che volteggiano leggeri nell’aria, secondo Cocteau trasfigurazioni dell’anima». Mostre, spettacoli con Marlène Dietrich e Massine, voli a New York e Chicago come cantante melodico, adattatore di dialoghi per la London Film, regie e sceneggiature di cortometraggi con Carmen Amaya, Django Reinhardt, Suzy Solidor. Infine, l’amore vero, quello per la contessa Yvette de Marguerie, ballerina, coreografa e attrice, membro attivo del Mouvement National des Croix de Lorraine, l’associazione antinazista di De Gaulle. Si rifugiano nel castello di Brignat sulla Loira che diviene il cuore dell’aristocrazia, degli intellettuali e della politica internazionale. Tra gli ospiti figurano il principe russo Felix Yussopov, il duca e la duchessa di Windsor, Giovanni Spadolini (suo lontano parente), André Malraux e Jeanne Guerre. Sono finiti gli anni dello spionaggio? C’è di certo che sono sospette le sue apparizioni in Algeria e poi in Vietnam nei giorni della battaglia di Dien-Bien-Fu. Il mistero non sarà mai rivelato.
Spadò, però, ci gioca con il suo doppio. Ci sono tre fotografie che lo ritraggono nell’appartamento al 78 degli Champs Elysées, suo ultimo buen retiro, in cui ironicamente si atteggia al ruolo di spia: in una è abbigliato alla Lawrence d’Arabia, nell’altra è in elegante completo, nella terza si appresta ad aprire una porta, in tutte ha dei torbidi occhiali scuri a coprirgli il volto.