Visioni contromano
La mafia di Pif
“La mafia uccide solo d'estate" il film della "Iena" Pierfrancesco Diliberto funziona benissimo. Ben scritto, calibrato e soprattutto onesto con la Storia e le ombre italiane. Insomma: una sorpresa!
Quando ieri con alcuni colleghi ci siamo recati alla proiezione de La mafia uccide solo d’estate, il film di Pierfrancesco Diliberto in arte Pif era piuttosto evidente, anche se non dichiarata, la nostra prevenzione nei confronti di un film realizzato da una “iena” e comunque da un personaggio prettamente televisivo che ci ritrovavamo in concorso alla trentunesima edizione del Torino Film Festival, manifestazione notoriamente piuttosto selettiva. Certo, non sempre con esiti soddisfacenti ma sempre sopra la media.
E invece, a mano a mano che la pellicola scorreva, ci siamo ritrovati a fare i conti con una storia e uno stile che nella sua levità mai superficiale ha saputo raccontarci attraverso gli occhi del protagonista, prima bambino e poi adulto, una esistenza scandita dagli omicidi e dagli attentati della mafia. Il tutto condito con la divertente trovata del piccolo fan andreottiano. Sì, proprio nel senso di Giulio Andreotti, che nell’immaginario del palermitano Arturo rappresenta la saggezza, l’intelligenza l’integrità. Che poi, Arturo crescendo, si sgretolerà rivelando quella che secondo l’autore è la vera natura del gigantesco personaggio scudocrociato, gobbo e malefico, che preferisce andare ai battesimi piuttosto che al funerale del generale Della Chiesa. Il tutto condito da immagini di repertorio cui è affidata la parte drammaturgica più commovente all’interno di un film che rimane sostanzialmente nei confini di una commedia.
Pif, Pierfrancesco Diliberto, ha indubbiamente centrato lo scopo della sua operazione, potendo contare non solo sulla propria interessante ed espressiva faccia di tolla, ma anche e soprattutto su una scrittura agile e puntuale, alla quale si perdonano alcune indulgenze narrative adoperate per strappare la facile risata. E in questo non c’è dubbio che il merito vada ascritto allo sceneggiatore Marco Martani. Il quale, emancipatosi dalla zavorra vuota ma ingombrate delle pellicole brizziane, realizza un piccolo capolavoro di struttura e proporzione dosando benissimo i rischiosissimi ingredienti utilizzati in un film sulla mafia e sullo sguardo di un bambino la cui esistenza va di pari passo con la difficile presa di coscienza all’interno di un ambiente, famiglia compresa, che la mafia sembra negare.
Esagerando, perché di esagerazione si tratta, possiamo considerare il film di Pif un piccolo Il giorno della civetta di Damiano Damiani. Nel senso che più volte all’interno della narrazione si fa riferimento al fatto che la mafia non esiste, (vale a dire che è anche la parola a non essere usata). Proprio come capitava prima del romanzo di Leonardo Sciascia… Insomma: una rinfrescata alla memoria ogni tanto può fare bene. Resta dal nostro punto di vista un unico mistero: come mai Pif fa parte della scuderia di un programma farlocco come quello delle Iene, che è l’esatto contrario di quello che vorrebbe essere? Francamente ci sembra una clamorosa contraddizione.