Cartolina dall'America
E JFK inventò la tv
Il presidente e il suo drammatico omicidio hanno cambiato l'immaginario occidentale. Con l'aiuto della televisione. Merito di «un giovane sceriffo un po’ timido», come lo definì Marshall McLuhan
L’assassinio del presidente John Fitzgerald Kennedy il 22 novembre di cinquanta anni fa cambiò il volto dell’America e con esso anche la storia della televisione. Fu il primo grosso trauma ad essere riportato direttamente dal mezzo televisivo. Una trasformazione che era già nell’aria. Un paio di mesi prima infatti il canale CBS aveva inaugurato il suo telegiornale serale di mezz’ora proprio con un’intervista di Walter Cronkite a John Fitzgerald Kennedy seguita una settimana dopo da una conversazione di Chet Huntley e David Brinkley con il mitico presidente. Ma rivedendo oggi le immagini di quel tragico evento che andò avanti per ore, si rimane sorpresi da come appaia “primitivo”, al limite della confusione, il modo in cui fu raccontato.
Giovane – ancora oggi il più giovane presidente degli Stati Uniti che sia mai stato eletto – bello, a suo agio completo di fronte alla macchina da presa, Kennedy è stato il primo presidente “televisivo”; in realtà il terzo, dopo Truman ed Eisenhower, a servire il proprio paese da quando il mezzo televisivo aveva cominciato i suoi broadcast, ma assolutamente il primo a sentircisi di casa. Il presidente e la televisione erano fatti l’uno per l’altra; e Kennedy seppe usarla in modo intelligente e nuovo per fare la sua campagna elettorale, per lanciare la sua piattaforma politica e per farsi amico il pubblico. Nella rivista TV Guide del 1959 Kennedy fu descritto come «una nuova razza di candidato» con «particolare fiducia nel fascino della TV». Un anno, il 1963, difficile per l’America con in corso una guerra fredda con l’Unione Sovietica, un conflitto aperto in Vietnam e migliaia di attivisti che stavano marciando in tutto il paese per reclamare una legge sui diritti civili. Considerato l’intreccio che da allora si è creato tra politica e televisione queste parole di Kennedy suonano oggi profetiche: «l’onestà, il vigore, l’essere simpatetici, l’intelligenza tra molte qualità – la presenza o l’assenza di esse assieme ad altre forma quella che viene definita l’immagine del candidato – possono essere basate sull’impressione che il candidato produce in televisione ignorando il suo operato reale e le sue vedute. La mia convinzione rispetto a tutto ciò però è che queste immagini o impressioni siano molto vicine alla verità».
Marshall McLuhan scrivendo del primo dibattito presidenziale descrisse Kennedy come «un giovane sceriffo un po’ timido» in contrasto con un Richard Nixon «avvocato delle ferrovie». «Kennedy – scrisse lo studioso – ha un perfetto aplomb, un’ammirevole indifferenza verso il potere, trasuda la ricchezza in cui è cresciuto e tutto ciò gli permette di adattarsi perfettamente alla TV».
Nel 1953 un giovane neo eletto senatore John Kennedy con la bellissima moglie accanto seduto nel suo appartamento di Boston affronta la prima intervista della CBS. Sette anni dopo, poco prima dell’elezione presidenziale la coppia appare di nuovo nello stesso programma. Jackie è incinta del secondo figlio John e con loro c’è la figlia Caroline. Dopo la sua elezione Kennedy appare altre 19 volte in televisione. È il primo presidente a permettere che le sue conferenze stampa siano trasmesse in televisione. O forse dovremmo dire il primo a spingere perché siano riprese dalla tv. Diventa quindi un presidente che la gente comincia a «sentire vicino».
Ma nel giorno della sua morte niente accade in maniera lineare o tantomeno organizzata. Al punto che qualcuno ha anche pensato a una malafede o peggio ad una manipolazione dei mezzi di informazione. Il presidente Kennedy fu dichiarato morto all’1,30 ora della East coast, ma fino alle 2 i network Tv non riuscirono a organizzarsi per trasmettere la notizia a differenza dei primi broadcast radiofonici che furono invece trasmessi 10 minuti dopo il fatto. Alcuni network non avevano l’equipaggiamento per un evento così improvviso e drammatico. Furono improvvisati dei set. I commenti dei giornalisti furono principalmente descrittivi di immagini che non c’erano. Non ci furono speculazioni o scoop sull’accaduto, come accade oggi. Edward P. Morgan corrispondente per il canale ABC dalla Casa Bianca descrisse così la situazione : «La scena è un misto di incredulità, rabbia e dolore. Il consulente per la sicurezza nazionale ha gli occhi rossi, è silenzioso e quando mi sono avvicinato mi ha stretto la mani in silenzio. Appena sono entrato alla Casa Bianca le segretarie piangevano senza ritegno nei corridoi, Charles Horsky uno dei consiglieri del presidente camminava avanti e indietro battendosi la fronte con le mani».
Non c’erano telecamere nella Daley Plaza a Dallas dove Kennedy fu assassinato. C’era un solo fotografo per la stampa. Ma all’annuncio del fatto tutte le Tv interruppero i programmi e le telecamere aprirono dovunque il loro occhio. Anche se ogni canale appoggiandosi a quello di Dallas ebbe la capacità di trasmettere direttamente cosa stava succedendo dopo l’assassinio, fu il leggendario Walter Cronkite a dare ufficialmente a livello nazionale la notizia in televisione. Trasmettendo per ore dal vivo, in maniche di camicia, nervosamente mettendosi e togliendosi continuamente gli occhiali a seconda di quello che doveva leggere o comunicare, dovette passare per quella che più tardi ebbe a definire «una battaglia tra le emozioni e il senso dell’informazione». Il suo annuncio breve, intenso di quella tragedia – la morte del presidente – lo fece sentire un tutt’uno con gli spettatori proprio perché si avvertiva come un messaggero affidabile nei confronti dei sentimenti della gente, un rapporto con il pubblico che Cronkite mantenne anche in seguito, dalla guerra in Vietnam fino agli anni della pensione.
A quell’annuncio il paese si fermò incredulo sprofondando in una depressione che lo avvolse completamente in silenzio, senza commenti o troppe voci urlanti. Qualcuno dice che non si è più ripreso dall’orrore di quella scena di cui si conoscono solo echi di immagini lontane, indirette ormai impresse nella memoria di tutti. Da allora la televisione imparò a prepararsi per le emergenze, cominciò a piazzare telecamere ovunque, fece proliferare giornalisti con poco sentire e con molte ambizioni e iniziò un processo di non ritorno che non sempre ha significato un miglioramento per il mondo dell’informazione.
Il vecchio modo di dare le notizie tuttavia, per quanto esse appaiano troppo scarne, poco sofisticate e a volte anche confuse, riflette quei terribili eventi meglio di quanto oggi l’iperattiva e eccessivamente grafica informazione televisiva che a volte sconfina nella volgarità e nello sfruttamento di certe situazioni, riesca a fare in condizioni di emergenza. Da un lato perché non si pensava in termini di emergenze di quel tipo (cosa a cui purtroppo oggi ci siamo abituati) sia sul piano giornalistico che su quello tecnico e dall’altro perché’ l’etica professionale allora aveva ancora un grande valore. Elementi che cambiarono profondamente dopo quel tragico evento. O forse in conseguenza di esso. La televisione che McLuhan ha descritto come un mezzo a bassa definizione che richiedeva allo spettatore di riempire i dettagli è oggi infatti qualcosa di completamente opposto, un fluire di dettagli in alta definizione con un eccesso di voci che si sopraffanno, in lotta tra di loro per essere ascoltate. Come se il tempo del lutto fosse semplicemente un lusso che oggi non ci possiamo più permettere. Ma più informazione, è cosa nota, non significa più chiarezza. Walter Cronkite frastornato dalla tragicità dell’evento, che si mette gli occhiali per leggere un’agenzia e se li toglie per informare la nazione di quello che ha appena letto è un’immagine di qualcosa di cui in molti oggi sentiamo la mancanza.