Una bella mostra al Maschio Angioino
Il sindaco pittore
Con “Da Guttuso a Matta. La collezione Valenzi per Napoli”, la città rende omaggio a un politico atipico: intellettuale ma vicino alla gente come pochi dopo di lui. L'inventore della "primavera" napoletana
C’è un presente che è appena ieri, cancellato dalla fuga ineluttabile del tempo. Ci sono personaggi straordinari la cui storia, sia pur recente, resta patrimonio di chi l’ha condivisa, vissuta, assaporata. C’è un luogo di luci e ombre, addormentato ma pronto a risvegliarsi come il vulcano che lo domina. C’è una capitale della cultura che sogna di ritrovare il pulsare di idee e di energie soffocato dall’immondizia che ha sommerso le coscienze. Napoli e Valenzi: l’utopia della bellezza, la costruzione del nuovo. Una simbiosi tra l’uomo e la città, un amore a prima vista, un legame indissolubile nato nel 1944, quando l’artista militante, protagonista della resistenza antifascista, venne inviato dal Pci all’ombra del Vesuvio per preparare l’arrivo di Palmiro Togliatti dall’Unione sovietica, e durato fino al 2009, anno della sua morte. Tra queste due date c’è la partitura di una storia intrecciata: fil rouge, l’impegno civile di un politico intellettuale ma vicino alla gente, stimato perfino da chi non era comunista, che aveva saputo amalgamare le due anime di Napoli, la colta e la popolare, e che, da sindaco, dal 1975 al 1983, aveva riportato la città – apripista della futura primavera bassoliniana – alla ribalta internazionale, traghettandola felicemente anche nel periodo drammatico e turbolento del terremoto del 1980 e della ricostruzione.
A restituirci nella sua grandezza la figura illuminata, la statura morale di Maurizio Valenzi, l’«italiano di Tunisi» (era nato nel 1909 da una famiglia ebrea di origini livornesi da più generazioni insediata in Tunisia), più napoletano di un napoletano verace, non è un libro, né una biografia. Bensì una mostra, “Da Guttuso a Matta. La collezione Valenzi per Napoli”, visitabile al Maschio Angioino fino al 31 marzo 2014, tutti i giorni esclusa la domenica. Una curiosa esposizione, gioiosa e solare, che si snoda come un diario, che svela le curiosità di un amante dell’arte, i suoi viaggi, gli incontri, i suoi soggiorni nel buen retiro di Ischia, che racconta del suo dialogo costante con gli artisti, ma anche delle sue pulsioni politiche, del suo essere protagonista indiscusso di un partito che guardava alla cultura e che della cultura faceva manifesto di progresso. A curarla, su indirizzo della Fondazione Valenzi, presieduta da Lucia Valenzi, figlia di Maurizio, e in collaborazione con il Comune di Napoli, è la storica dell’arte Olga Scotto di Vettimo, che ha voluto mantenere intatto lo spirito di una collezione privata, eterogenea, formata sul gusto e sulle frequentazioni del sindaco-pittore.
Bella, intensa, nella sua irregolarità di temi, stili, tecniche, nel suo essere slegata da canoni. L’impressione, fascinosa, per il visitatore è di essere introdotti in casa Valenzi, di ascoltare le voci dei suoi assidui frequentatori come Paolo Ricci, Eduardo De Filippo, Renato Guttuso, di assistere alle lunghe discussioni tra politici come Amendola e Napolitano ed intellettuali anche stranieri come Neruda, Paul Eluard, Max Ernst, di essere proiettati in un Novecento dinamico quando Napoli era attrattore del mondo.
Ed è proprio dall’autoritratto con dedica di Eduardo che parte la full immersion nella “stanza delle meraviglie” allestita da Lucia Anna Iovieno: cinquanta opere di autori tunisini e italiani, noti e meno noti, accanto a dieci quadri di Valenzi. Olii, acquarelli, disegni, ceramiche, incisioni e piccole sculture; nel percorso, scandito dai tre segmenti “ritratti”, “disegni”, “paesaggi e nature morte”, incontriamo le firme di Raffaele Ragione, Antonello Leone, Mario Persico, Vincenzo Gemito, Jules Lellouche, Moses Levy, Antonio Corpora (con lui Valenzi aprì uno studio a Roma dal 1930 al 1931), Carlo Levi, Augusto Perez, Ernesto Treccani, Armando De Stefano, Raffaele Lippi, Luigi De Angelis, Gino Coppa, Eduard Bargheer, i corpi contorti di Renato Guttuso e gli energici cavalli di Marino Mazzacurati, le ceramiche di Emilio Notte, gli schizzi di Sebastian Matta, i ritratti di Guido Sacerdoti, una dedica di Josè Ortega, il pittore esule amico di Rosi e innamorato del Cilento. Tra le curiosità, un paesaggio di Amintore Fanfani. «Con questa mostra – spiega Lucia Valenzi – io e mio fratello Marco abbiamo voluto condividere con la città non solo la produzione pittorica di nostro padre, ma anche i suoi affetti e le sue memorie che respirano nei tanti doni ricevuti dagli amici artisti e che lui ricambiava allo stesso modo. Papà non era un collezionista, non ha mai pensato all’arte come valore venale. Continuare a vedere queste opere solo in privato, tra le mura di casa, ci sembrava contrario allo spirito di partecipazione che lo ha sempre guidato».
Nella foto in alto: Maurizio Valenzi nel suo studio. Sotto, due due opere