Libri dimenticati: "Homer & Langley"
La recessione secondo Doctorow
La storia drammatica dei due fratelli Collyer che si chiudono in casa e lentamente rompono ogni contatto con il mondo esterno ricorda da vicino quella "deriva dell'isolamento" che colpisce una società in crisi Ecco perché è un classico da rileggere
Non so se Doctorow sia un autore classico. Probabilmente sì. Ha un’abitudine, tipica degli scrittori che dopo un po’ lo diventano, che è a mio parere, questa: espone una scena, o una conversazione, oppure un episodio. O semplicemente descrive le caratteristiche di una persona, il modo in cui è, come si presenta, ti racconta cosa le è capitato, e poi ne trae una specie di massima. Una cosa a cui, tu che leggi, non avevi mai pensato prima.
Naturalmente il procedimento può anche essere al contrario, “Tutte le famiglie felici sono felici allo stesso modo, quelle infelici, ognuna a modo suo”, dice la frase famosa, in apertura di Anna Karenina, e subito dopo Tolstoj si affretta a raccontarci chi sono alcuni dei protagonisti del suo romanzo, e che cosa sta succedendo a casa di Oblonskij. Il fatto che una moglie chiamata Darja, un po’ cambiata da molte gravidanze, abbia appena scoperto il tradimento del marito Stephan, e così via.
Se è così, se l’autore classico (o l’autrice classica) è colui che riesce a dirti qualcosa di più su storie che già conosci, che hai sentito raccontare tante volte, Doctorow, sicuramente lo è. In Homer e Langley, (realmente vissuti) protagonisti sono i fratelli Collyer. Narrato in prima persona, da Homer che è cieco, racconta di due vite. Se Homer, la cui improvvisa cecità è descritta attraverso l’incapacità graduale (che lo colpisce da ragazzino) di vedere la gente che pattina su un lago ghiacciato, è sereno e distaccato dagli eventi, il fratello Langley è invece polemico e arrabbiato col mondo. È che in trincea è rimasto colpito da una granata, e questo l’ha reso non perfettamente “sintonico” con la realtà. Homer, il primo, se ne accorge quando il secondo porta nel salotto di casa una automobile smontata per poi rimontarla e lasciarla lì. Oppure quando aggredisce i poliziotti che gli avevano chiesto una tangente per tacere sui balli che gli era venuto in mente di organizzare, dietro pagamento di un dollaro, nel salotto di casa. Non c’è una trama forte, in questo Homer e Langley. Il che è insolito, se si pensa che i due fratelli Collyer hanno fatto storia nella psichiatria. Il loro nome sta infatti a indicare una forma di ossessione-compulsione chiamata “disposofobia” malattia che si traduce nel rifiuto, a un certo punto della propria vita, di incontrare altri esseri umani. Niente vicende esemplari, però, nella trama. Semplicemente i due fratelli Collyer, si chiudono sempre più, giorno dopo giorno, in casa, fino a morire. È la storia di due suicidi perseguiti a lungo, in un’epoca di crisi, simile alla nostra.
Il tono di Doctorow è leggero, e lo sguardo di Homer sulle vicende proprie e degli altri esseri umani, sincero e distaccato. Doctorow ha in comune coi grandi classici, una capacità di comprendere le storie della vita, e le motivazioni che le legano. Ha anche, in comune con essi, una conoscenza dei fatti materiali (come dei fatti storici) dell’epoca che nel suo romanzo racconta. Ma soprattutto è dotato di una carica umana ed emotiva, che gli permette di raffigurare, i personaggi di cui narra le vicende. Lo sa fare anche quando, come in questo caso, siano vicende molto tristi, o che ripeto, in qualche modo ci pare di avere già sentito.
Questo romanzo uscito nel 2009 per i tipi di Mondadori, (tradotto in italiano da Silvia Pareschi), è già fuori catalogo.