Fa male lo sport
Una Ferrari dorotea
A questo punto è definitivo: il matrimonio tra Alonso e la rossa è fallito. Servirebbe un colpo di reni (o un colpo di genio), ma questa gestione tutta compromessi e attese non aiuta...
A questo punto, si può dire: il matrimonio tra Ferrari ed Alonso è fallito. Non resta che qualche svogliata carezza e un po’ di tenerezza, come cantava De Andrè. L’anno horribilis sta finendo, Sebastian Vettel vola verso il suo quarto titolo mondiale consecutivo mentre lo spagnolo arranca. Massa che per poco non c’entra alla partenza il suo ormai ex compagno di squadra è una illuminante metafora dello stato dell’arte. “Vettel ci dà 30 secondi a gara – commentava domenica l’asturiano arrivato solo sesto – inutile illudersi…”.
Certo, la Ferrari va un po’ meglio di Italia Futura. E se per assurdo i bolidi rossi dovessero presentarsi alle elezioni, con il loro leader Alonso, prenderebbero forse un po’ di più del risicato 8 e qualcosa per cento racimolato da Monti & Montezemolo alle politiche di febbraio. Sta di fatto che un’altra stagione è da buttare. E con questo, fanno sei mondiali in bianco. L’ultimo arrivò nel 2007. Nulla a confronto dei ventuno anni di digiuno passati dal titolo di Scheckter del 1979 all’epopea di Schumacher iniziata nel 2000. Un incubo per i tifosi della Rossa. L’ultima volta è toccato proprio a Raikkonen che dal campionato 2014 tornerà a poggiare il fondo schiena su un sediolino della Ferrari. Sempre che non abbia dolori. Alla schiena, appunto. Perché il finlandese ha questo problemino come un comune mortale. Kimi è uno di noi, noi che facciamo la ginnastica posturale e ci imbottiamo di Voltaren quando non ne possiamo più. Perché la Ferrari, cercando di guadagnare il terreno perduto, è andata a scegliersi un pilota, bravo e veloce, uno dei migliori del Circo, ma un po’ menomato da questo handicap: i dolori alla colonna. “Niente paura – ha ripetuto anche in Corea, dove peraltro è giunto dietro il tedesco pigliatutto – da anni convivo con questa roba. Ho avuto anche dei piccoli interventi ma è venuto il tempo di risolvere il problema: non parlo però di un’operazione…”.
Alonso e Raikkonen sono l’ultima scommessa di Montezemolo per raddrizzare la barca che fa acqua da tutte le parti. Lo spagnolo non ha gradito per niente l’arrivo del finnico ed ha voluto parlare a quattr’occhi con il grande Capo. “Tutto bene, abbiamo fiducia per il 2014” e via con altre ipocrisie. L’asturiano teme di coltivare una serpe in seno, Raikkonen non è uno scudiero, non è il Barrichello di Schumacher o il Massa di questi anni. Il mandare a quel paese l’intero team a Monza (“Che fate? Siete scemi?”, salvo rettifiche posticce) è un segnale inequivocabile di nervosismo e di tensione se uno pensa anche a quell’altra frase (“Che cosa sogno? La macchina degli altri…”), una dichiarazione di scarsa stima verso tutta la squadra. Il vecchio Ferrari gli avrebbe dato, a questo punto, un calcio nel sedere. Ma Montezemolo è una specie di doroteo, ha modi e pensieri democristiani: assorbire il colpo, mostrarsi tranquilli all’esterno e picchiare dentro le mura di casa. Ma il post Schumacher è stato un mezzo disastro (titolo 2007 a parte). Il più grosso problema della Ferrari di questi anni non è stato tanto avere una macchina inferiore a Red Bull e McLaren quanto la gestione dello spagnolo. Fernando non ha portato quel titolo a Maranello in cui tutti speravano e qualche volta anche per errori suoi nei momenti clou. Il team capeggiato da Domenicali – che ha raccolto la difficile eredità di Todt – non è in grado di soddisfare le richieste del pilota; l’elaborazione delle macchine non riesce a produrre uno scatto decisivo che permetta di colmare il gap con Vettel, Alonso è protagonista di grandi rimonte ma non arriva oltre perché comunque ha una macchina inferiore a quella del campione tedesco e di Webber. Tutto questo produce insicurezza e logora i rapporti. Tanto varrebbe divorziare.
Come sono lontani i primi anni Duemila quando la Ferrari vinceva dappertutto e non solo perché aveva un fenomeno alla guida, quel simpaticone di Michael Schumacher. La Ferrari era il Dream Team, un box straordinario con tecnici di prim’ordine e strateghi finissimi: Jean Todt, Ross Brawn e Rory Byrne, gente che sapeva fare macchine e sapeva imporre la legge del più forte. Anche in modo spregiudicato e sgradevole districandosi tra i regolamenti e le magagne del Circo di Ecclestone. Era una superiorità persino noiosa, al punto che provarono in qualsiasi modo ad arrestarla, visto lo scarso interesse del campionato e l’audience mondiale. Fu un po’ quello che sta avvenendo adesso con Sebastian Vettel e la Red Bull. I Gran premi provocano sbadigli a ripetizione: non succede mai nulla. Ci sono sempre stati i cicli in Formula Uno: da Fangio a Prost, da Senna a Schumacher. Adesso è il tempo di Vettel. Che fila via come un razzo. Ammesso che sia tutto vero. Perché questa macchina della scuderia anglo-austriaca continua a destare non pochi sospetti. Una macchina con il motore truccato? Non è così continuano a dire in coro tutti gli addetti ma poi arriva quell’anima candida di Hamilton che sparge dubbi e moltiplica gli interrogativi: “Se guardate quello che è successo a Singapore, lui (che poi sarebbe Vettel ndr ) accelerava venti metri prima degli altri, prendendo un gran vantaggio. È quello che accadeva a me quando avevo il controllo della trazione”. Un espediente tecnico che prima andava bene ed ora è proibito. Perché poi la F1 diventa ridicola e perde credibilità ogni anno che passa anche per questi continui cambi di regolamenti. Cosicché non si può fare a meno di pensare che ci sono periodi in cui bisogna favorire un marchio e qualche anno dopo un altro. Alla faccia del fair play. Adesso stanno pensando di portare a 22 le gare della stagione: da 20 a 22 con una mezza rivolta delle scuderie e dei piloti. Alla fine tutti diranno di sì perché è facile comprare il consenso. E noi lì a sbadigliare e a premere il tasto del telecomando per spegnere la tv.