Andrea Carraro
Visita guidata tra i Sassi

La città bucata

Viaggio a Matera, luogo splendido e quasi fuori dal tempo. Un mondo che conserva la sua memoria rovesciando le convenzioni: i turisti vengono guardati come pazzi ma spesso è la gente di qui a fare cose pazze...

Arrivo al Garden-Inn-Matera Hotel – una struttura alberghiera extralusso dotata di ogni comfort che si possa desiderare un poco fuori della città, che posso permettermi grazie a una promozione pazzesca trovata sul web – al tramonto. Mi aggiro per gli incantevoli esterni fra palme di varie misure, laghetto attraversato da romantico ponticello di legno, piscina esterna sulla quale prospetta quella interna ingabbiata in un poliedrico gioco di vetrate e specchi. Mi siedo su una elegante poltroncina di bambù a ammirare il tramonto che indora la campagna arida oltre le palme e la piscina dove galleggiano alcune boe azzurre e un ciccione che sta facendo il morto a galla.

Più tardi raggiungo Matera in macchina, parcheggio non lontano dalla piazza centrale – piazza Vittorio Veneto – nella quale domina il colore bianco, circondata integralmente da palazzi storici del Seicento e del Settecento, attraversata da molte persone, perlopiù turisti e vecchietti imberrettati bassi di statura. Curiosamente in un angoletto c’è una statua di bronzo, una statua minuta, di un omino col berretto in testa che sembra uno di loro. Vorrei subito andare ad ammirare, su un loggiato, l’incredibile colpo d’occhio sulla Cattedrale e sulla conca dei Sassi, ma lo farò più tardi, adesso vengo attratto da certi scavi archeologici a cielo aperto sotto la pavimentazione stradale.  Dal tufo affiora l’antica struttura urbana (età del bronzo) in un’area recintata. Con tre euro soltanto puoi scendere a visitare il “Palombaro” ch’è una grossa cisterna per la raccolta dell’acqua scavata al di sotto alla piazza, risalente al XIX secolo e riportata alla luce nel 1991. Scendo con altri turisti insieme a una guida: un uomo sulla sessantina, imberrettato tanto per cambiare, che parla un italiano colto e preciso, appena screziato dal dialetto di qui, e ci racconta un sacco di cose interessanti. Il suo eloquio studiato, fitto di pause riflessive come per cercare sempre l’espressione più acconcia, ci accompagna scendendo nel cuore nero della cisterna lungo un percorso di ferro a scale e ballatoi. Ascolto incantato il suo racconto della Festa della Madonna della Bruna – protettrice della città – che avviene ogni 2 luglio ed è uno straordinario insieme di sacro e profano.

“Come vuole la tradizione la statua (in realtà si tratta di una copia) viene portata in processione sul carro trionfale lungo le strade gremite di gente. Nella tumultuosa discesa verso la piazza, il carro subisce l’assalto appena arriva in corrispondenza della chiesa di Santa Lucia e non riesce quasi mai ad arrivare integro fino al centro della piazza. Gli assalitori  strappano con grande irruenza, litigandoseli fra loro, come impazziti,  pezzi della statua e del carro come trofei e come segni beneauguranti, prima che ne rimanga solo lo scheletro. Voi non avete idea, avete presente la festa di Pamplona, coi tori che corrono liberi per la città in mezzo alla gente, beh, non siamo tanto lontani…”. La descrizione mi viene confermata quasi alla lettera da un mio amico regista, Marcello Avallone, che pochi anni fa ha girato un documentario di questa Festa per la Rai. Curiosamente anche lui fa l’associazione con Pamplona. “Anche alla Festa di Matera c’è sempre qualcuno che si fa male…”, mi dice. Il rito secolare si conclude a notte fonda con il tripudio generale e l’esplosione dei fuochi pirotecnici che illuminano la Gravina ed i Sassi di Matera. “A mmogghjë a mmogghjë all’onn cj vahnë” (sempre meglio l’anno venturo): questo è l’augurio finale dei materani per una festa sempre più bella.

Dopo la vista alla Cisterna, nella quale il tufo è intonacato per resistere meglio all’umidità, vado ad ammirare da un belvedere la stupenda vista dei Sassi che adesso all’imbrunire di disegnano in varie gradazioni di colore dominati dalla bianca cattedrale del XIII sec. sul punto più alto della città. I Sassi in verità sono due: il Sasso Caveoso, quello più antico, disposto come un anfiteatro romano, con le case-grotte che scendono a gradoni, e prende il nome dai teatri classici, e il Sasso Baresano (chiamato così perché guarda a Bari). Poi al centro uno sperone roccioso che separa i due Sassi, sulla cui sommità si trova la Cattedrale. Ed infine, di fronte, sul versante opposto, l’altopiano della Murgia che funge da quinta naturale, con le chiese rupestri sparse lungo i pendii.

Dopo un’ottima cena in un ristorantino terrazzato da cui si domina tutta la cittadina, me ne torno in albergo. E trascorro una serata piacevolissima ascoltando musica stravaccato su un divanetto e chiacchierando con altri ospiti, anch’essi soddisfatti assai di poter alloggiare lì a un prezzo irrisorio. Una coppia di tedeschi attempati e un po’ brilli ballano un lento ai bordi della piscina. Un signore corpulento si fuma un sigaro toscano oltre i vetri della hall in una fantasmagoria di ombre e specchi. Io mi gusto un whisky accompagnato dalla mia sigaretta elettronica.

L’indomani di buonora sono di nuovo in città deciso a visitare come si deve i Sassi. Presso la piazza principale mi si accosta un giovane che porta al collo un distintivo di una associazione archeologica: “Mi scusi – mi fa – sa dove posso trovare un’auto?”, “Un’auto?, “Sì, un’auto, un concessionario, me ne devo andare in vacanza, mi serve un’auto…”, “No, mi spiace, non saprei….”. Non ha affatto l’aria del mentecatto, benché lo sia di certo. Lo osservo andare via guardando curioso le macchine in sosta e poi interrogare altri turisti che come me allargano le braccia e scuotono il capo in segno di diniego (l’indomani e l’indomani ancora mi avvicinerà di nuovo ripetendomi la stessa solfa). Poi mi si avvicina un signore con il distintivo del Comune e giocoforza sulle prime ascolto sospettoso, visto il precedente, quello che mi va dicendo e cioè che le visite accompagnate ai Sassi si fanno soltanto dopo le undici a piedi oppure a bordo di macchinette elettriche…”. Mi segnala sulla cartina il posto di raccolta dandomi appuntamento per più tardi. “Intanto vada lì, faccia il biglietto e veda se le fanno fare un giretto di prova…”.

Raggiungo il posto, un tourist office di legno su una strada larga davanti a un garage sotterraneo. Le due donne allo sportello sono assai cortesi e mi spiegano meglio: la visita guidata si può fare a piedi e costa 11 euro, oppure tramite minicar elettriche e costa 33 euro. Mi invitano pure loro, prima di prendere una decisione, a farmi un giretto dell’isolato con una delle automobiline. E così monto sulla macchinetta in dotazione e dopo una sommaria spiegazione di un addetto di come funziona, parto e mi faccio il giro dell’isolato invero a balzelloni con qualche difficoltà soprattutto nella fase di frenaggio e di parcheggio. Ma grazie a dio gli riporto quell’aggeggio ancora intatto. Inganno il tempo fino alle undici passeggiando nel centro della cittadina infuocata dal sole dove spira tuttavia sempre un venticello che se sei all’ombra aiuta a non sudare.

Alle undici in punto sono di nuovo al posto di raccolta pronto a partire con l’opzione più costosa. Si forma il gruppo: 10 ospiti distribuiti su 5 mezzi, più la macchinetta delle guide che ci accompagnano. E quindi per un paio d’ore ce ne andiamo a spasso tutti in fila per i vicoli tortuosi del paese visitando i Sassi in punti diversi. Ogni sosta bisogna parcheggiare e le guide hanno il loro bel daffare a farci incolonnare senza danni. Una giapponese dietro di me lancia gridolini di piacere ogni volta che sbaglio qualcosa. La guida è un trentacinquenne assai spigliato e colto e simpatico che ricorda Dustin Hoffman giovane. Come l’altra guida del Palombaro, anche lui è competente e professionale, le sue spiegazioni sono condite sempre da un pizzico di ironia e dimostrano un sincero amore per la sua città e la sua terra lucana. Dapprima ci porta a visitare un paio di chiese rupestri, che sono grotte incassate nella roccia coi muri ricoperti da affreschi anche di stile bizantino assai deteriorati dei quali si fa fatica spesso a riconoscere le forme. La guida ci racconta che quando era ragazzo gli capitò varie volte di assistere alla spoliazione di questi  templi da parte di teppistelli che graffiavano le pareti e gettavano poi i pezzi di muro nel burrone o dove capitava.

In una di queste grotte c’era fino a qualche giorno fa una mostra organizzata da Vittorio Sgarbi denominata “Follia”  che adesso stanno disinstallando, alla quale tuttavia dedica solo poche parole. Perlopiù ritratti di pazienti di manicomi  manchevoli di qualcosa (occhi, bocca ecc.) affissi alle pareti della grotta e marcati con didascalie altrettanto indeterminate. L’effetto complessivo è straniante e di un fascino vagamente sinistro. Ogni volta che rimontiamo a bordo delle nostre macchinette dobbiamo ricordarci di azionare un segnale acustico per avvertire la gente della nostra presenza, il che ci rende, temo, fastidiosi come zanzare. Fatto è che la nostra processione davvero non passa inosservata. Gli sguardi che ci riservano i bottegai, gli automobilisti, i passanti sono raramente divertiti, più spesso compassionevoli quasi fossimo un gruppo di matti in gita sorvegliata.

La vista dei Sassi, che voglio ricordarlo sono ormai patrimonio mondiale dell’Unesco, da certi punti è davvero mozzafiato. “Nelle grotte dei Sassi si cela la capitale dei contadini, il cuore nascosto della loro antica civiltà. Chiunque veda Matera non può non restarne colpito  tanto è espressiva e toccante la sua dolente bellezza”. Questo lo scriveva Carlo Levi  nel 1952. Com’è noto in queste grotte ci vivevano fino alla metà degli anni 50 i contadini. Famiglie anche di sette persone o più. Visitiamo una tipica CASA GROTTA, descritta sempre da  Carlo Levi in Cristo si è fermato ad Eboli (1946): “Sono grotte scavate nella parete di argilla indurita del burrone… dentro quei buchi neri, delle pareti di terra, vedevo i letti, le misere suppellettili, i cenci stesi. Sul pavimento stavano sdraiati i cani, le pecore, le capre, i maiali. Ogni famiglia ha, in genere, una sola di quelle grotte per tutta abitazione e ci dormono tutti insieme, uomini, donne, bambini e bestie. Così vivono ventimila persone”. Nella CASA-GROTTA c’è il lettone, il cassettone, alcuni strumenti agricoli appesi al muro, lo spazio cucina, la nicchia per il mulo ecc. Una voce registrata ci spiega in italiano e poi anche in inglese ogni dettaglio, soffermandosi sul fatto che nella grotta tenevano sempre una scorta di letame per riscaldarsi. Usciamo dalla grotta, raggiungiamo un altro belvedere spettacolare. La guida ci sta indicando adesso le zone dove vennero girate le scene de Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini e di The Passion di Mel Gibson. “Credo che nessun posto al mondo riesca a incarnare in modo così pregnante, mistico il Golgota, la salita del Calvario, il luogo della crocifissione”. Guardiamo tutti incantati quel brullo paesaggio sopra l’anfiteatro dei Sassi. “In effetti neppure quello arido e pietroso della Terra Santa – mi dice un altro turista – ha dei luoghi che possano eguagliare questi”. Mi attardo a guardare e a fotografare quell’erta aspra, fra le rocce e la terra brulla e la grossa croce di ferro che hanno lasciato in cima.

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