Viaggio teatrale in Francia
Il Pinter francese
La Parigi teatrale impazzisce per Joel Pommerat, regista e autore che mescola il dramma borghese alla rivendicazione politica. Per denunciare un mondo che ha perso contatto con se stesso e le proprie idee
La nuova stella del teatro francese si chiama Joël Pommerat. Un paginone di Le Monde lo annunciava qualche settimana fa: con due spettacoli in scena all’Odéon-Théâtre de l’Europe (Au monde e Les Merchands), uno al mitico Bouffes du Nord (La Grande et Fabuleuse Histoire du commerce), ci vuole poco a gridare al miracolo! E così per lo spettatore interessato italiano, una tappa a Parigi è diventata obbligatoria.
Pommerat è autore e regista dei suoi spettacoli: da tempo lavora con la stessa compagnia di attori e con la stessa struttura produttiva. I due titoli riproposti e riallestiti per l’occasione dall’Odéon (la più prestigiosa istituzione teatrale europea, fondata nel 1984 da Strehler, Lang e Mitterrand) sono del 2004, quando Pommerat collaborava con il teatro nazionale di Strasburgo: insomma, non si tratta di una scoperta dell’ultima ora ma di una consacrazione definitiva. Peccato non averlo praticamente mai visto, in Italia.
Per sua stessa ammissione, Pommerat si rifà a Cèchov: costruisce piccoli universi concentrazionari e poi vi fa deflagrare conflitti umani e sociali. Quando non strettamente politici. Costruisce i suoi testi (e quindi i suoi spettacoli) per flash rapidi, scene veloci che dànno un buon ritmo alla rappresentazione; d’altro canto, le “storie” non vanno avanti grazie al dialogo, ma sono i dialoghi a proporsi come apologhi (spesso veri e propri monologhi detti di fronte a un altro personaggio muto) capaci di esprimere i conflitti emotivi o sociali o politici. Un teatro di parola in senso stretto, dove l’azione è ridotta all’osso. Io ci ho trovato Cèchov, sicuramente (Pommerat cita Tre sorelle come il riferimento testuale diretto di Au monde), ma anche Pinter (pensate a Tradimenti e al suo montaggio serrato, tecnica che Pommerat dimostra di saper maneggiare molto bene) ma anche Ibsen, proprio perché il suo sembra un aggiornamento del dramma borghese d’un secolo fa. Nel complesso, un teatro al quale qui da noi non siamo abituati. Ma d’altra parte qui da noi non siamo più abituati ad alcun tipo di teatro che non sia quello dei classici riprodotti senza idee o alle (presunte) sperimentazioni alla moda nelle quali l’unica costante è che si deve parlare poco. Anche perché solo facendo tacere gli attori, i nostri modesti registi possono gestire i loro attori-marionette.
Ma non è questo il punto (semmai ne riparleremo in un’altra occasione dell’abisso che divide la nostra crisi scenica dalla civiltà teatrale francese). Il punto è che di fronte agli spettacoli di Pommerat si rimane interdetti per due motivi. Primo: perché – a partire dagli stessi titoli dove si citano tranquillamente mercato o commercio… – vi si affrontano temi scabrosi come il lavoro, la disoccupazione, l’immoralità, la devastazione sociale provocata dal primato culturale televisivo. Secondo: perché non vi succede niente. Anzi: tutto quello che all’aprirsi del sipario lo spettatore smaliziato ritiene che possa succedere (normali gangli secolari della drammaturgia), state certi che non succederò. E questo non succedere in un primo momento genera sconcerto mentre subito dopo lascia supporre che sia la sostanza della poetica di Pommerat. Ed ecco che viene naturale fare un quarto nome, a proposito dei suoi “antenati”: Samuel Beckett. Per dire: Au monde si apre con un largo tavolo al quale siedono due uomini incanutiti e in bianco e nero. Uno di loro, il più vecchio, mima un libro da sfogliare e di quando in quando sbatte timidamente una mano sul tavolo. Sì, è esattamente quel che capita in Ohio Impromptu di Beckett: non è possibile che sia un caso!
Nulla di nuovo succede sotto il sole, suggerisce anche Pommerat, nulla che renda meno patetica la condizione di noi uomini, oggi (ecco la novità rispetto ai maestri) del tutto preda di meccanismi economico-finanziari che ci appaiono ineluttabili e ingovernabili. Sempre in Au monde (nella foto qui accanto), per esempio, si parla di una famiglia di industriali che non sa come far fronte alla crisi né a quale dei figli affidarsi dopo la morte del capofamiglia (che comunque non avverrà prima della chiusura del sipario) e dove i rapporti interpersonali (tre sorelle… e due fratelli) si sfaldano a poco a poco. Ma l’evento che farà crollare ogni equilibrio è l’arrivo di una giovane slava che dovrà accudire un bambino che sta per nascere (e che non nascerà nel corso dello spettacolo!). Questa ragazza, sciocca e superficiale, capace solo di mimare una sensualità da tv di quart’ordine (canzoni mimate comprese) è quell’ignoto che si infila nella vita nota per stravolgerla, raccontato in tanti testi da Pinter. Un ignoto che distrugge i rapporti tra le persone, ma non intacca minimamente le regole del lavoro, del mercato, del commercio. Insomma, siamo nel pieno della grande drammaturgia, in più con alcune tirate potentissime contro quella disattenzione politica e morale che ha portato l’Occidente sull’orlo di un burrone fatto di disoccupazione, disgregazione sociale, confusione di ruoli, solitudine. Un baratro dal quale neanche un karaoke televisivo potrà salvarci…