Omero e i migranti

Di cotanta pietà

Il mito di Scilla e Cariddi torna a infierire sull'uomo. E noi, come Ulisse, guardiamo attoniti alle tragedie. Ma chi sono, oggi, i due mostri omerici? La legge Bossi/Fini? I trafficanti italo-africani? I governi europei (tutti) che si voltano dall'altra parte?

Quello che è successo nel mare di Lampedusa è un dramma che si ripete da millenni. Una volta si poteva attribuirne la responsabilità alla natura. Ora si dovrebbe darne la colpa alla natura dell’uomo. Eppure non basta. Non basta il dolore: bisogna sapere chi sono – oggi – i mostri evocati da Omero… 

“Mentre in Cariddi tenevam le ciglia,
Una morte temendone vicina,
Sei de’ compagni, i più di man gagliardi,
Scilla rapimmi dal naviglio. Io gli occhi
Torsi, e li vidi che levati in alto
Braccia e piedi agitavano, ed Ulisse
Chiamavan, lassi!, per l’estrema volta.
Qual pescatore che su pendente rupe
Tuffa di bue silvestre in mare il corno
Con lunghissima canna, un’infedele
Esca ai minuti abitatori offrendo,
E fuor li trae dall’onda, e palpitanti
Scagliali sul terren: non altrimenti
Scilla i compagni dal naviglio alzava
E innanzi divoravali allo speco,
Che dolenti mettean grida, e le mani
Nel gran disastro mi stendeano indarno.
Fra i molti acerbi casi, ond’io sostenni,
Solcando il mar, la vista, oggetto mai
Di cotanta pietà non mi s’offerse”.

Omero, Odissea, Libro dodicesimo

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