Un pamphlet di Eraldo Affinati sulla scuola
Forza Lucignolo!
“Elogio del ripetente” mette a nudo i difetti dei professori, delle famiglie e delle istituzioni scolastiche. Dove l'autore spiega come, da professore, le maggiori soddisfazioni le abbia ricevute dagli allievi più difficili. Quelli che con i loro comportamenti smascherano le incapacità altrui. Basta saperle riconoscere...
L’anno scolastico 2013-2014 è ormai avviato, i test d’ingresso alle università (prova del nove di quanto il percorso scolastico ha prodotto molto contestata) sono appena finiti. Ed Eraldo Affinati, scrittore e insegnante (elementari e superiori, licei e istituti tecnici, piccole città e periferia) affida a un pamphlet la propria idea di scuola, oggi. Un’idea chiarita sulla pelle, sugli incontri spiazzanti con gli adolescenti. Un’idea controcorrente sulla didattica.Un’idea rivoluzionaria nei sentimenti, diremmo, eppure salda nei valori culturali da traghettare agli studenti.
Elogio del ripetente il titolo del prezioso volumetto (Mondadori, 127 pagine, 10 euro). Perché è proprio lui, l’insopportabile, strafottente individuo afflosciato sul banco la cartina di tornasole di quello che non va. Non nel ripetente, appunto, ma nella scuola, nell’insegnante, nei genitori, in quello che il mondo fa per i giovani. Il ripetente ha la virtù di smascherare gli errori della formazione scolastica e insieme il conformismo didattico che genera quegli errori. «Il ripetente ti lascia il segno», scrive il prof Affinati. «Non ti ascolta, gioca col cellulare, scrive sui banchi, non ha libri, dimentica il quaderno, rompe penne, litiga coi compagni, durante le interrogazioni canticchia…». E però «i suoi problemi diventano i tuoi»…«Tiene la testa dentro il cappuccio, ha gli occhi rossi, lo sguardo abulico, si sente male, telefona a casa per farsi venire a prendere ma non c’è mai nessuno».
Ha un doppio registro, il libro. Un tono ironico e uno terribilmente serio. Un procedere per storie e per riflessioni: su come sono i ragazzi, su come rigidità, burocrazia, circolari ministeriali, scadenze calate dall’alto li imbriglino.
Qualche storia, per cominciare. E qualche silhouette di ripetente, disegnata da Affinati con affettuosa partecipazione. Consapevole che dentro la classe spesso si incontrano due solitudini, quella del maestro, messo in discussione ogni giorno, e quella dell’allievo, che ha dietro genitori stressati, immaturi, scocciati, disinteressati. Al punto che è lui, il ragazzo, a dover prendersi sulle spalle la problematicità di un padre e di una madre che sembrano suoi coetanei, lei con la mini e il trucco pesante, lui con le braccia tappezzate di tatuaggi.
Ecco Giulio, il primo dei ripetenti al quale Affinati si rivolge in una “lettera aperta”. Ha due bocciature sul groppone, è più alto del prof, sconta una suscettibilità esasperata. Ai rimbrotti reagisce e così avvia la catena di litigi, note, assenze, richiami, sospensioni. Che fare? «Mi giocai la partita in un colpo solo, ti chiesi se avevi voglia di venire insieme a me, il martedì pomeriggio, a insegnare la lingua italiana ai ragazzi stranieri». Lui accetta. E in un intero anno non manca che due volte al suo impegno.«Così il ripetente si trasforma in volontario». Strafottente pure lo studente capetto della classe, incontrato da Affinati in una scuola privata, al primo giorno di supplenza. «A regà, ch’anno dato er professore bolscevico», la provocazione del fighetto. «Andai vicino a lui e lo guardai dritto negli occhi». Poi via a chiedere perché digrignava i denti, che cosa lo faceva soffrire. In un corpo a corpo produttivo. Il cortocircuito ha l’effetto di avviare la corrente di empatia con l’intera classe. Perché dietro la cattedra non paga far finta di spiegare, o di ascoltare. Perché «l’insegnante è lo specialista dell’avventura interiore».
Poi i più deboli.Come Valentina, dislessica, ma non “certificata” poiché i familiari rifiutano il suo disturbo, e dunque niente insegnante di sostegno (esiste solo nella scuola italiana, in questo caso esemplare) e il peso della formazione riversato interamente sulle spalle del docente tradizionale. «Le compagne la prendevano in giro, tranne Ilaria, angioletto di Pietralata, Iddio la protegga, che invece le voleva bene».
E quello che abbandona.Dopo una bocciatura, torna a scuola, un parcheggio scelto per non stare troppo solo. Ma lo travolge l’abulia, che genera prediche e sospensioni. Un giorno scompare e il prof viene a sapere che è finito a fare l’apprendista meccanico. Lo va a pescare in officina. «“Come va?” “È tutto ok”. “Sicuro?”. “Ce poi giurà, professo”». Ma le battute «sono talmente convenzionali da sembrare già registrate sul nastro».
Grande sconfitta, la dispersione scolastica. Come sconfitta è mettere una nota. Significa che il prof non è stato capace di mettersi a nudo senza barare. E i voti, che rituale sono? Una riduzione del merito a contabilità. Senza tenere conto che l’8 al ragazzo cresciuto in una famiglia agiata, tranquilla, vale 6 se si confronta con l’impegno di un altro che a casa trova l’inferno, il deserto culturale e fuori ha amici teppistelli. Così come non certificano il merito i testi Invalsi, i quiz che esaltano la risposta esatta e umiliano la curiosità, la creatività, l’intuizione eterodossa.
L’elogio del discolo diventa così l’invito a inventare, pur a fatica, una scuola che includa invece di escludere. Confessa Affinati: «In tanti anni di insegnamento il ripetente è quello che mi ha regalato il maggior numero di soddisfazioni».