Cattivi esempi: Alessandro Piperno
Scrittori delle vanità
Il premiatissimo "Inseparabili" è un romanzo che vorrebbe riscrivere la storia dell'umanità a partire dalle origini. Una pretesa irragionevole: tanto più che l'autore finisce solo a contemplare la propria "bravura" e la bellezza dei personaggi che ha creato...
È come se l’autore si fosse messo davanti a un grande specchio, e attorno a lui e dietro di lui avesse posizionato una serie di altri specchi, ma più piccoli e deformanti, capaci di restituire dell’immagine originale, alla fine, una versione in centesimi e solo lontanamente imparentata con essa: l’immagine del narratore. Consegnando (quasi) completamente le chiavi del suo romanzo al narratore Samuel Pontecorvo, l’autore Alessandro Piperno arriva a un passo dallo scomparirvi del tutto, dimostrando così le sue non indifferenti doti di scrittore, a partire appunto dalla capacità mimetica. Non fosse che, di per sé, una considerazione simile non è certo sufficiente a fare di un libro un buon libro: cosa che infatti Inseparabili (Mondadori, 351 pagine, 20 euro, premio Strega dello scorso anno) è ben lungi dall’essere.
Tutte le azioni e tutti i moti dell’animo, anche i più infinitesimali, sono descritti con una ricchezza di dettagli a dir poco esasperante, e così tutte le loro possibili interpretazioni o varianti («Forse perché lei era esattamente ciò che sembrava […]. Ecco, sì, forse Semi la odiava per il suo leziosissimo understatement. O forse perché la sua infanzia elegiaca non era stata spaccata in due, come quella di Samuel […]. O forse Semi […] non perdonava a Ludovica di averlo strappato, almeno sentimentalmente, a Silvia […]. Sì, forse non perdonava a Ludovica di averlo reso ingiusto ed egoista. O forse non le perdonava di avergli mostrato quale esperienza sconvolgente possa essere il sesso con una partner con i tuoi stessi solipsistici gusti. O forse, a proposito di sesso, non riusciva a perdonarle che lei non volesse prenderglielo in bocca […]»): tutto è portato in superficie e palesato con una evidenza che ha del pornografico per quanto riesce ad annullare qualsiasi zona d’ombra, e i soli spazi lasciati al lettore per inferire o farsi un’idea propria sono le omissioni del narratore – omissioni che, peraltro, sono dichiarate dallo stesso in maniera aperta e plateale.
Piperno sembra essersi assegnato un compito, ovvero dare un saggio della propria bravura attraverso la risposta alla domanda “Cosa c’è di più difficile per uno scrittore che inventare esistenze che non sono le sue, che non gli appartengono?”: e ha senz’altro soddisfatto quel compito, ma per farlo ha tralasciato di scrivere una storia di cui possa importare a qualcuno che non sia il protagonista che la racconta. Dicendo questo, si vuol dire che Inseparabili appare come il racconto fondativo di un mondo, a partire dai suoi riferimenti biblici ‒ Samuel e Filippo Pontecorvo come Caino e Abele: paragone che, in linea con il resto dell’opera, è messo esplicitamente in evidenza ‒ per finire con i suoi personaggi, che sono sempre archetipi – ognuno di essi è sempre rappresentante assoluto di una qualche categoria (Filippo è «l’individuo più egocentrico e narcisista del mondo» che passa però per essere anche «il più compassionevole», Luciano «il più involontariamente importuno» e via dicendo) –, così come assoluto è ogni fatto («esosissimi viaggi», «segretissima relazione») o aspetto («afosissima estate», «penosissimo copione», «marzialissimo silenzio radio», «stramaledettissimi musical», «precarissimo equilibrio») del romanzo. Ma il mondo che qui si fonda, nella sua cornice d’alta borghesia «giudaico-romanesca», è solo il mondo di Samuel: con un narratore tanto parziale e interessato, quanto ingombrante a causa della sua presenza pervasiva, per chiunque altro, soffocato da una tale quantità di parole oscenamente inutili e di dettagli particolareggiati al limite del parossismo, c’è solo l’opzione della messa ai margini, se non proprio dell’esclusione.