Oliviero La Stella
Il trionfo dell'ignoranza italiana

Salvate il Premio Riccione!

Un fiore all'occhiello della cultura romagnola è sotto attacco (con pretesti infondati) da parte di una minoranza di politici locali di destra. Ma nessuno alza la voce per difendere l'"istituzione" che da anni coniuga teatro e ricerca. Insomma, un tipico caso di malcostume culturale

«Con la cultura non si mangia». Non è solo l’infelice battuta con la quale, qualche anno fa, l’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti ritenne di poter giustificare i tagli ai fondi per la cultura: è una convinzione purtroppo assai radicata e diffusa nel nostro Paese. Molti ritengono, sbagliando, che la cultura sia qualcosa di elitario non in grado di produrre ritorni economici.

L’ennesima espressione di questo fenomeno viene dalla Romagna, dove l’ente che gestisce il Premio Riccione per il Teatro è oggetto di ripetuti attacchi da parte di alcuni consiglieri comunali della minoranza di centrodestra. A loro avviso le spese sarebbero fuori controllo. È falso, come diremo. Tuttavia a Riccione si teme fortemente per il futuro dell’antica e prestigiosa istituzione.

Due parole sulla manifestazione, che è un premio vero, un autentico laboratorio di cultura. Nulla a che vedere con le migliaia di eventi pseudoculturali organizzati da tanti comuni italiani. L’edizione inaugurale del Premio Riccione si svolse nel 1947 e annoverò tra i vincitori il giovane Italo Calvino con Il sentiero dei nidi di ragno. La giuria era composta da Sibilla Aleramo, Mario Luzi, Guido Piovene, Elio Vittorini e Cesare Zavattini. Da allora il Riccione è stato il più autorevole riconoscimento per gli autori teatrali italiani e nell’”albo d’oro” figurano nomi quali Tullio Pinelli, Dacia Maraini, Masolino d’Amico, Luigi Squarzina, Pier Vittorio Tondelli…  Nella giuria si sono avvicendate figure di rilievo della cultura italiana grazie anche al lavoro di Franco Quadri che per vent’anni ha diretto il Premio. Ora a dirigerlo è Simone Bruscia, un giovane appassionato e competente, capace sia sul fronte artistico come su quello amministrativo. Ha riorganizzato l’istituzione, ridotto le posizioni debitorie e ridimensionato sensibilmente i costi generali, passati dai 350.000 euro del bilancio 2006 ai 227.000 del 2013. Di questa cifra la quota a carico del Comune di Riccione è di 70.000 euro.

C’è da aggiungere che nelle attività e nel bilancio dell’associazione Riccione Teatro rientrano, oltre al Premio (che ha cadenza biennale, il prossimo 3 novembre avrà luogo la nuova  edizione), anche altri onerosi e importanti impegni: il Premio Pier Vittorio Tondelli per autori “under 30”, il Riccione TTV Festival dedicato al rapporto tra le arti e le nuove tecnologie, la tenuta degli archivi del Premio Riccione per il Teatro (circa 6.000 copioni) nonché dell’archivio europeo del Living Theatre e di una videoteca con circa 4.000 video.

Ciò nonostante i consiglieri comunali Luciano Tirincanti (Pdl) e Giovanni Bezzi (Lista Civica) gridano alla vergogna e allo spreco di denaro pubblico, ottenendo frequente ospitalità nelle pagine del Resto del Carlino e di altri quotidiani locali. Tuttavia ciò che più inquieta è il singolare silenzio di chi, anche per dovere istituzionale, dovrebbe difendere quello che dal punto di vista della politica culturale è, senza ombra di dubbio, il fiore all’occhiello della città. Da parte del sindaco Massimo Pironi e degli esponenti della sua giunta non si è levata, fino a oggi, neppure una parola per rassicurare sul futuro del Premio non soltanto la città, ma anche l’Italia dello spettacolo. Immaginiamo cosa accadrebbe a Mantova se qualcuno attaccasse il Festivaletteratura, o a Rovereto se qualcuno mettesse in discussione il Mart, il museo di arte contemporanea. Una mezza rivoluzione. Invece a Riccione le picconate rimbombano nel silenzio generale.

Insomma – e qui il discorso ci porta oltre i confini della città romagnola – il concetto che la cultura è motore di sviluppo pare non riesca a passare, neanche in aree del Paese che da sempre consideriamo progressiste ed evolute. Né contano gli esempi di quelle città italiane e straniere nelle quali gli investimenti in cultura hanno avuto ricadute economiche concrete, attirando il cosiddetto “turismo di qualità”.

A queste osservazioni si replica spesso: sì, però c’è la crisi, i soldi non ci stanno. È falso, perché dilagano sul territorio nazionale – con i denari dei contribuenti – manifestazioni spacciate come eventi culturali da sindaci e assessori di ogni schieramento: i tornei che evocano un finto medioevo, le feste che nulla hanno a che vedere con la storia e le tradizioni locali (ora va tanto Halloween), i finti premi giornalistici, cinematografici e televisivi messi in piedi solo per mostrare qualche volto noto. E’ l’Italia della “cultura taroccata”. Nella quale il problema non sono i soldi, ma è l’ignoranza.

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