Camera con vista
Le nostre Indie
Due scrittori e due viaggi nel mito a confronto: Sandra Petrignani rilegge "Esperimento con l’India" di Giorgio Manganelli, appena ripubblicato in ebook da Adelphi. Quando un "gazzettiere" scopre il segreto di un mondo
Se non avessi letto Esperimento con l’India di Giorgio Manganelli (ora disponibile anche in ebook presso Adelphi), forse non sarei riuscita a trovare il coraggio di andarmene per due mesi in India da sola e poi scrivere il mio Ultima India (Neri Pozza). E se non avessi letto Cina e altri Orienti – finalmente riproposto da Adelphi dopo un’indecente sparizione di decenni – non sarei mai andata in Cina e non avrei passato anni della mia vita a scorazzare per i vari paesi orientali di cui lui racconta magistralmente. Quando Esperimento uscì, nel 1992, Manganelli era purtroppo morto da due anni. Avevo fatto in tempo, però, a ricevere dalla vita il dono impareggiabile della sua amicizia e di qualche racconto sulla sua attività di viaggiatore improbabile, ex «professore nevrotico, diventato poi pensionato, poi gazzettiere» così si definiva lui. “Gazzettiere” sì – come Elsa Morante bollava sprezzantemente i cronisti – perché i viaggi li faceva a spese dei giornali – Il Giorno, L’Espresso, Epoca, Corriere della Sera, Il Mondo, La Stampa, Il Messaggero – che lo inviavano e che avevano poi l’intelligenza di pubblicare le sue cronache sempre sorprendenti, funamboliche e visionarie, ma visionarie in quel modo ultrasensibile che può essere molto aderente alle cose, molto più aderente di quanto avrebbero fatto poi grandi corrispondenti incapaci di vedere oltre il proprio naso, troppo innamorati di se stessi e del proprio oggetto di indagine e così privi di lungimiranza da farci credere in meravigliosi boom economici di cui ora scontiamo il bluff.
Ricordo che, da sempre attratta dall’India e insieme terrorizzata, mi dissi: «Se c’è riuscito questo mattacchione di Giorgio, pieno di fisime e di nevrosi peggio di me, a tornare vivo dal Subcontinente, ce la devo fare anch’io» e così sono partita nel lontano ’94 con il suo libretto strapazzatissimo nello zaino e il suo itinerario da ripercorrere quasi passo passo, da Bombay a Madurai, da Ajanta a Delhi, da Goa a Madras (si chiamava ancora così), dal Kerala a Calcutta. Insomma in lungo e in largo.
«Agitatissimo mi chiedo se sia onesto avere un’anima» si domanda Manganelli e io gli rispondo con le parole di un altro scrittore viaggiatore imprescindibile, Henri Michaux: «In India, se non pregate, avete sprecato il viaggio». E questo lo trovate in un altro magnifico libro, Un barbaro in Asia, ma ho or ora controllato on-line: in italiano non è più disponibile, figuriamoci in libreria. Io mi tengo cara una vecchia edizione Einaudi. (Einaudi, ahi, ahi…. quante dimenticanze…, quanti buchi nel catalogo).
Ma tornando a Manganelli e ai suoi viaggi, mi chiedo: che fine hanno fatto i suoi indimenticabili reportage per la tv, per una trasmissione molto rimpianta, di Giovanni Minoli, Mixer? Per me copiò pazientemente i filmati la figlia dell’autore, Lietta, e così posso rivedermeli – con le lacrime agli occhi – quando voglio. Sì, a rivedere il corpaccione manganellesco, le sue famose bretelle, che si muove sempre come un elefante nella cristalleria, a risentire la sua vociona con l’erre moscia, ad ascoltare il suo italiano meraviglioso che gli esce dalla bocca già bello e pronto per trasformarsi in lingua scritta, senza bisogno della minima correzione, perché non ha un solo inciampo, una sola imperfezione, beh, mi commuovo ogni volta. Dunque torniamo di corsa ai testi, a Cina e altri Orienti, adesso.
Questa edizione è integrata di tanti inediti, e non, che non entrarono nella prima pubblicazione Bompiani perché sembrò un libro troppo voluminoso. Non si tema che possa essere invecchiato perché descrive posti di qualche decennio fa, non precisamente contemporanei. Andate a cercare i ristoranti aperti sulle guide turistiche: qui troverete l’anima profonda dei luoghi naturali e artistici, lo spaesamento di un non turista pauroso che sa anche attraversare un lago pieno di coccodrilli, uno che si gode «asini e dromedari… e le bellurie orientaleggianti, le piume svolazzanti…», uno insomma che sa riconoscere «i modi ingegnosi in cui l’altrove si nasconde sotto l’apparenza dell’ovvio», ma che poi resta abbagliato dalla verità celata in un misero tempietto perduto nel fondo della giungla. Manganelli viaggia per guarire da se stesso: «Ero totalmente intossicato di me stesso, giacché un viaggio assolutamente solitario, con rari colloqui, trasforma noi stessi in tossici di difficile epurazione» e la sua malattia, il suo costante corpo a corpo con le emozioni suscitate dal viaggio producono un effetto catartico sul lettore complice e affine. Qui si legge per conoscere una verità sensibile dell’Oriente e della psiche, identica a se stessa nel corso del tempo, non per andare a caccia di indirizzi. Qui si legge uno Scrittore, s’impara una nuova lingua, ci si scontra con i propri limiti e con la vertiginosa bellezza di certe geografie e di certe intuizioni.
Ma non avrei detto ancora abbastanza su questo splendido volume se non ne segnalassi il saggetto conclusivo firmato da Salvatore Silvano Nigro, Viaggiare è un’esperienza passionale, messo a mo’ di modesta postfazione, pieno d’intelligenza e profonda comprensione, di amore e scrittura maestosa. Da questo traggo ancora una citazione manganelliana, presa dai diari inediti: «Voglio essere libero: essere me stesso; non crollare davanti ai miserabili miti della mia infanzia. Vattene, sventurato Edipo. Il cuore batte (di più). Lascialo battere. Poi si calma. Le sue furie non contano. Conta guarire. Conta la libertà». La libertà da un se stesso «vigliaccamente sedentario», preda della nevrosi psicosomatica, dell’ipocondria. Come spiega Nigro: «Intossicato di sé, e devastato, Manganelli alla fine si risolse. Instaurò una corrucciata trattativa con l’oscura fatalità. Venne a patti con la labilità della depressione». Viaggiando. Scrivendo.