La prima di "Italia mia Italia"
La Signora tricolore
Alla Sala Umberto di Roma ha debuttato il nuovo spettacolo della coppia Maddalena Crippa/Peter Stein. Un omaggio poetico-canoro all'Italia, da Leopardi a Toto Cotugno, da Pasolini a Francesco Piccolo. Una fantasia contro corrente tutta verde, bianca e rossa
Il più significativo vizio di noi italiani è piangerci addosso. Sempre e comunque. Figuriamoci ora. Praticamente un mantra. Bel gesto allora, a maggior ragione, quello che ha dato vita al progetto a cui abbiamo assistito in prima nazionale alla Sala Umberto di Roma (fino al 22 settembre): Italia mia Italia, fortemente voluto composto e interpretato da Maddalena Crippa e diretto da Peter Stein italiano di adozione, per amore.
Gli ingredienti: un’interprete di temperamento e talento che da parecchio tempo ha smesso di farsi scegliere (in quanto gradisce di gran lunga dar vita lei alle sue urgenze artistiche); un regista stratosferico, “stranger in the night” una volta, ora dopo essere convolato a nozze con la protagonista pronto a sposare anche la sua causa; un manipolo di musicisti di valore consenzienti e grintosi. Non ultimo un leitmotiv latente e consolatorio, forse impopolare, ma che da lungi rimugina nei nostri cuori affranti. Cosi nasce e cresce un’idea. A detta della stessa Crippa: “Un viaggio che ha avuto per bussola solo il mio istinto e il mio cuore, la mia sensibilità di donna”. E non è poco. Si presenta al pubblico in abito da sera verde speranza: scollata ma non troppo sensuale ed elegante con i capelli raccolti. Da signora del teatro, quale è. La serata parte subito in un’alternanza di sonetti, racconti, appunti, riflessioni di italiche genti e parole in libertà della stessa Crippa che cuce cosi la sua personalissima bandiera.
L’autrice ben coglie il sentire attuale, ma essendo donna d’azione qui non si lascia andare a lamentazioni, bensì focalizza la ricchezza di ciò che abbiamo avuto, abbiamo e che nessuno mai potrà scardinare: l’essere nati in questa terra, l’Italia appunto, non a caso terra di santi navigatori e poeti. Lo trasla in un excursus che ci conduce da Leopardi a Toto Cotugno , da Mariangela Gualtieri (unica presenza femminile citata) a Mimmo Modugno, da Pasolini a Francesco Piccolo. Senza mai traballare. Ognuno – è ovvio – ha i suoi favoriti, ma l’interprete maliarda ci fa ingoiare tutto. Non deve essere stato facile per il Maestro Stein tenere a bada l’irriducibile Crippa con la sua straripante energia, il suo esuberante entusiasmo, la sua scattante generosità d’interprete. E difatti, a tratti, si coglie l’eccesso, l’esubero esplicitato in un gesto troppo ampio ed esplicativo, una corsa o un urletto che necessitano altri spazi per non risultare stonati nel bel mezzo di un’esecuzione intima e toccante, sinceramente sentita, come quella che ci viene offerta.
La Bubbez orchestra formata da Giovanna Famulari al violoncello, Massimo De Lorenzi alla chitarra ed Ermanno Dodaro al contrabbasso diretti dall’impavido arrangiatore e pianista Massimiliano Gagliardi offre un contributo sostanziale di prim’ordine. Discutibile la scelta del microfono a gelato con il filo che costringe la Signora Crippa, taccomunita, mai statica, a rocambolesche evoluzioni per non inciampare. Il disegno luci di Daniele Mengarelli – seppure realizzato ad arte – non ci ha convinto: distraente e faticoso per chi guarda. La protagonista galleggia in un’oscurità eccessiva per poi stagliarsi, improvvisamente, come fosse scivolata in un caleidoscopio rotto, contro le immersioni di colore monocrome proiettate sullo schermo che serve da fondale. I passaggi risultano troppo variati, troppo aggressivi, troppo scontati (il tricolore in coda, seppure smembrato , dopo il centocinquantenario proprio non si può più vedere!).