Nuove riflessioni sul caso-Valle/1
Cos’è “bene comune”?
Una lettera dell'attrice Benedetta Buccellato, stimolata dal nostro articolo sull'occupazione del Valle e gli altri "scandali" del teatro, riflette sulla confusione (dolosa) che qualcuno fa tra "bene comune" e "bene pubblico"
Caro Nicola, ho letto con soddisfazione il tuo pezzo sul Teatro Valle. Soddisfazione nel contare quanti punti interrogativi sollevi sul tema. Allora, forse, esistono margini di sano dubbio su come è stata condotta l’occupazione e sugli esiti ultimi? Forse non deve sentirsi solo e diverso (e anche un po’ vetero) chi non riesce a unirsi agli oceanici cori di festeggiamento? Forse è legittima la sensazione che si stia facendo un po’ di confusione tra beni comuni e beni pubblici?
Vorrei allora, seguendo il tuo esempio, provare ad esercitarmi in un’azione eversiva e rivoluzionaria: il ragionamento. Sinteticamente:
a) l’esperienza personale di occupante m’insegna che un’occupazione che dura troppo ha in sé qualcosa di anomalo (quella del Valle dura da più di due anni!).
b) Il Valle è un teatro pubblico, chi avrebbe il dovere di gestirlo è il Comune di Roma. E il Comune di Roma aveva il dovere di confrontarsi, immediatamente dopo l’occupazione, con gli occupanti di un bene pubblico. Non lo ha fatto. La destra se n’è lavata le mani (un teatro in più o in meno, chissenefrega!), il centrosinistra ha avuto paura di mettersi contro gli occupanti, suoi probabili elettori.
c) Gli occupanti, dal canto loro, dopo essersi autodefiniti “comunardi”, dichiarano e teorizzano:
1) di essere contro tutto e tutti, contro le Istituzioni e contro i privati;
2) che il teatro Valle (in generale i teatri) è un “bene comune”;
3) che il “bene comune” è altra cosa rispetto al “bene pubblico” (questo lo sospettavamo);
4) che il Valle dovrà essere gestito dalla Fondazione omonima.
Conclusione del tentativo di ragionamento: un bene pubblico passerebbe perciò dalla gestione pubblica a quella di una Fondazione, aperta teoricamente a tutti i soci (i soci “comunardi”, cui si aggiungono i soci “complici”), ma giuridicamente ente privato.
Scopriamo poi che il Valle sarà gestito, nei fatti, dai soci fondatori della Fondazione e cioè dal gruppo di occupanti della prima ora. Ergo: un circoscritto gruppo di cittadini-teatranti si autoproclama gestore di un teatro pubblico.
In tutto questo, gli uomini e le donne delle Istituzioni stanno a guardare. Certo, la pochezza culturale e politica di questi e di queste ultime ci rende faticoso difendere il principio del “bene pubblico” e del ruolo democratico delle Istituzioni. Ma è una buona ragione per sbandierare come una conquista collettiva la gestione del pubblico da parte di un ente privato? È una buona ragione per omologarci tutti nel canto di vittoria dei comunardi, regalando alla destra il ruolo di difensore del pubblico e delle Istituzioni democratiche?
D’accordo che la subcultura berlusconiana ha invaso anche i territori culturali dell’opposizione, d’accordo che il partito degli anti-comunisti (il Pd) ha perso progressivamente qualunque barlume di rotta culturale, d’accordo che il populismo la fa da padrone, d’accordo che i partiti e i movimenti sono stati devitalizzati e privati della loro funzione costituzionale. D’accordo. Ma non esiste leventualità che qualcuno, nella sinistra o nel centro-sinistra di questo paese, alzi timidamente la mano e sussurri: “Scusate, comunardi, ma non sono d’accordo”?