Ricordo dello scrittore scomparso
Bevilacqua l’Antipatico
Tanti lo consideravano un cinico. Invece era affettuoso e sentimentale. Di certo soffriva per l’atteggiamento schizzinoso che critici e intellettuali riservavano alla sua opera, colpevole, ai loro occhi, di essere “popolare”
Il mio primo incontro con Bevilacqua fu con il suo mito. Quando, ventenne, misi piede per la prima volta nello stanzone dal parquet sconnesso che allora ospitava la Cronaca del Messaggero, gli “anziani” mi dissero che lì aveva cominciato anche Alberto Bevilacqua, più o meno alla mia età. Doveva essere stato alla metà degli anni Cinquanta, dunque più o meno quindici anni prima del mio esordio come giornalista. Mi sembrò di buon auspicio.
Chi lo ricordava bene era Renato Terracina, il redattore capo di notte. Mi raccontò che Alberto era molto timido, a tal punto che evitava di servirsi del bagno del giornale per il timore di condividere una qualche intimità con i colleghi. Pertanto, ogni volta che aveva un’urgenza fisiologica, usciva dal giornale, attraversava la strada e si infilava nei bagni pubblici che a quei tempi esistevano in via del Traforo. Pure io ero timido. Pertanto anche questo racconto mi sembrò di buon auspicio. Temevo infatti che la timidezza avrebbe potuto condizionare la mia vita professionale.
Alberto lo conobbi di persona molto più tardi, quando divenni il responsabile delle pagine della Cultura. Scriveva per il Messaggero, ogni tanto. Credo avesse un legame sentimentale con il giornale, del quale era stato per breve tempo un cronista. Memore dei racconti che mi erano stati fatti tanti anni prima, ricondussi all’antica timidezza quel suo carattere brusco, quei suoi modi spicci e talvolta quasi provocatori. Perché, si sa, i timidi spesso tramutano la loro debolezza in aggressività.
Si instaurò tra noi una sorta di amicizia. Non ci frequentavamo molto ma quando capitava di incontrarci, per scelta o per caso (talvolta in un ristorante a Grottarossa, che entrambi amavamo) si stabiliva immediata tra lui e me una singolare confidenza. Non parlavamo quasi mai di letteratura ma di sentimenti e, talvolta, dei nostri momenti di depressione.
Senz’altro, come ha scritto oggi sul Corriere della sera Gian Arturo Ferrari, Alberto soffriva per l’atteggiamento schizzinoso che nei suoi confronti manifestava la gran parte dei critici e degli intellettuali. Forse perché era amato dai lettori, perché era un autore “popolare”, sostiene Ferrari. Probabilmente ha ragione. Ho assai apprezzato alcuni suoi libri e, tra gli ultimi, La polvere sull’erba. Mi è capitato di dirlo in certi “salotti” romani, ottenendo come risposta sguardi stupiti e sopracciglia inarcate.
A molti Bevilacqua era antipatico, senz’altro per via del carattere. Tanti lo consideravano un cinico. Invece era affettuoso e sentimentale, sotto quella sua scorza. Capace di gesti di generosità. Non richiesto, recensì su una delle riviste alle quali collaborava il mio primo libro, Lo spiaggiatore, una raccolta di racconti. Si capiva che non l’aveva fatto per cortesia, ma che aveva letto il libro per intero e che gli era davvero piaciuto. E che intendeva incoraggiarmi a scriverne altri.
Ciao caro Alberto. A me non eri affatto antipatico.