Non basta la parola/11
L’educazione letteraria
Ricercare il realismo nella narrativa significa non avere preconcetti "morali" nei confronti dei personaggi. Anche quando sono dei mediocri. Proprio come il grande Frédéric Moreau di Flaubert
Prima di parlarvi della forma-romanzo da un punto di vista storico-teorico vi parlerò di un romanzo che a me ha cambiato la vita facendomi decidere di scrivere. E cioè L’educazione sentimentale di Flaubert. Ho letto L’educazione sentimentale, prima da giovane e poi, nuovamente, soltanto adesso, a distanza di trent’anni, e proverò a raccontarvi le mie impressioni, di allora e di oggi.
A vent’anni si legge tutto in modo onnivoro e incosciente e sconveniente. Io a quell’epoca scrivevo solo poesie (bruttissime), qualche raccontino sfiatato e non avevo nessuna consapevolezza di quello che avrei fatto da grande. Ancora non avevo abbandonato l’università e perciò auspicavo che prima o poi sarei stato ingegnere. E allora non sapevo spiegarmi perché all’università sotto i libri di fisica e di analisi matematica c’era sempre qualche romanzo che sfogliavo segretamente (anche a me stesso) durante le lezioni. Ma insomma è in quel giro d’anni che affrontai per la prima volta L’educazione sentimentale. Era il periodo dell’ottocento francese, leggevo incantato le novelle di Maupassant, Bel-ami, Zola, Il rosso e il nero di Stendhal, e Le illusioni perdute e tutto o quasi il ciclo della commedia umana di Balzac… Cercavo bramoso delle storie che mi facessero sognare, e mi portassero lontano da quella quotidianità di un ciclo di studi sbagliato, scelto chissà perché, per fare un dispetto a mio padre, che mi fiaccava il corpo e lo spirito. E per me sognare significava confrontarmi con il mio tempo e la mia età. Sì, fu nel giro d’anni fra i venti e i venticinque (anni Ottanta) che lessi L’educazione e presi con me stesso la decisione di diventare scrittore. A quell’epoca cercavo – già allora – rigorosamente il realismo, perché mi sembrava il modo più semplice, diretto e breve di raggiungere la verità. L’educazione era dunque per me soprattutto una ricerca – saziata, altroché – di verosimiglianza storica, sociale, psicologica. Ma L’educazione era anche il romanzo della giovinezza, dei sogni di affermazione che in me erano ancora imbozzolati, dell’amore. Madame Bovary è un romanzo perfetto incentrato drammaturgicamente, psicologicamente, socialmente sul personaggio della signora Bovary. Madame Bovary è un romanzo per così dire verticale, mentre L’educazione pare espandersi coi suoi personaggi orizzontalmente. Potrebbero dirsi in questo complementari.
L’Educazione sentimentale mi colpì subito perché era un’opera alla lontana autobiografica (questa identificazione scrittore-personaggio mi affascinava e in fondo poi non ho fatto che ripercorrerla in tutti o quasi i miei libri). Cioè raccontava – trasfigurato – l’amore di Flaubert per una donna assai più grande di lui; amore che lo scrittore aveva coltivato per tutta la vita senza mai trovarvi soddisfazione, se non platonica. E anche gli altri personaggi erano costruiti su personaggi veri della vita dello scrittore. Mi affascinava quel fatto che si potesse raccontare, attraverso un romanzo, la propria vita, la propria infelicità e insieme la propria epoca storica. Cosa che poi io ho fatto – ho provato a fare – in molti miei libri. I miei sono spesso dei romanzi di formazione, anche se nei miei libri, la Storia, quella con esse maiuscola, è sottintesa, evocata per dettagli (un programma televisivo, una canzone ecc.) oppure assente per sovraesposizione. I miei primi, ingenui, tentativi letterari andavano comunque in quella direzione.
Adesso, come dicevo, l’ho riletto e l’ho trovato ancora affascinante e pieno di verità. La critica ha sostenuto per molto tempo la tesi che L’educazione non è alla stessa altezza di Madame Bovary. Lo sostiene anche il grande critico Thibaudet ma lo hanno detto anche personalità diversissime tra loro come Henry James e Mario Vargas Llosa. Per Henry James (che conobbe personalmente Flaubert) L’educazione rappresenta un “grande” fallimento. E questo – se vai a scavare – perché il personaggio di Frederic era un mediocre, perché era come “tarpato” nel suo destino dalla sua mediocrità. Ma è proprio qui la grandezza di Flaubert, che in questo romanzo già si proiettava nel futuro prendendo le distanze tanto dal Romanticismo quanto dal Naturalismo (di cui non voleva affatto essere additato come Maestro). Molti personaggi novecenteschi tendono deliberatamente verso la mediocrità, lo sappiamo, ma a quell’epoca, prima de L’educazione, nessuno l’aveva già fatto, nessuno aveva osato tanto. Lo fece certamente Dostoevskij con Memorie del sottosuolo che l’altro grande libro “minore” che anticipa il personaggio moderno.
Ma che cosa racconta L’educazione? Racconta di un giovane uomo – così viene definito nel sottotitolo dell’opera – Frederic Moreau che dispone di una discreta rendita, che via via sperpera tuttavia continuando a vivere nell’agio, che insegue vaghi ideali di successo personale come artista ed è follemente innamorato della signora Annoux, moglie di un editore poi ceramista godereccio e cialtrone, il signor Annoux. Mentre continua ad amare la signora Annoux, vive con una sgualdrinella (cocotte), Rosanette e ha una storia che per un pelo non finisce in un matrimonio con una nobildonna ricca, la signora Dambreuse. Per metà libro tuttavia Flaubert descrive la passione inappagata del protagonista. Poi lui conosce l’amore, anche se le sue storie sentimentali sono tutte diversioni dall’oggetto del suo amore, madame Annoux, con la quale non riesce mai a congiungersi, benché le dichiari varie volte il suo amore e lei verso la fine faccia altrettanto. Insomma, Frederic racconta il suo fallimento, nell’amore ma pure nella vita. (continua)
Consiglio 1: Cercate di trovare un “maestro” vero. Un intellettuale, un critico, uno scrittore, meglio se è più grande di voi e quindi libero da ragioni concorrenziali e antagonistiche, o un semplice amico che giudicate all’altezza. E’ importante avere un maestro che capisce e ama quello che scrivete, o quello che, nella sua mente, potreste scrivere, e senza secondi fini vi dà i consigli giusti. E’ importante . E’ importante non seguire il consiglio del primo venuto, soprattutto se è un neofita come voi, uno scrittore alle prime armi.
Consiglio 2: Ma da cosa si riconosce un vero Maestro? Beh, qui il discorso è più scivoloso. Beh, diciamo che un maestro vero di solito come si diceva è più grande di noi, molto più grande. Il ruolo, l’età, il prestigio intellettuale disegnano nei nostri occhi ammirazione e quasi venerazione. E’ classico dei maestri avere un carattere non facile, magari bizzoso, di incoraggiarvi talvolta con entusiasmo, ma talaltra di bastonarvi senza pietà se avete detto o scritto qualcosa che non gli andava bene. Il giudizio del maestro è di solito lapidario. Può non chiamarvi per anni perché avete pubblicato un libro che lui osteggiava. Insomma, anche il rapporto con il maestro non è quasi mai in discesa. Ma è indispensabile.