Valentina Mezzacappa
L'illuminismo del comandante Kirk

Filosofia di Star Trek

L'ennesimo film della saga, "Into Darkness", ci dice una volta di più che dietro le avventure della Enterprise non c'è solo la fantascienza, ma anche il nostro passato e il nostro presente. Quasi un modello di civiltà ideale

Premetto, non sono ciò che in gergo si definisce una Trekker, ma me lo ricordo come se fosse ieri quando da bambina trascinavo davanti all’unico televisore di casa la grossa poltrona di mio padre e, avvolta nella mia coperta preferita, guardavo Star Trek. E con lo stesso entusiasmo di allora oggi ho indossato i miei occhialetti 3D e mi sono lasciata trasportare dalle spettacolari immagini di Star Trek-Into Darkness. Il futuro di J.J. Abrams è un ibrido perfetto, fatto di elementi familiari all’uomo del 2013 che si sposano armonicamente con macchine volanti, barelle fluttuanti prive di ruote e cubi di ghiaccio che sembrano asteroidi in miniatura. Ma non mancano nemmeno i riferimenti agli anni sessanta (è infatti il 1966 l’anno di nascita della celebre saga) che si riscontrano nella gamma cromatica di alcune scene, negli interni dell’Enterprise, nell’uso del make-up e delle acconciature o nel gusto (discutibile) di Scottie in materia di camicie.

Ora, potremmo parlare della ben calibrata sceneggiatura frutto di una cultura cinematografica, quella statunitense, che ha fatto di questa raffinata disciplina (quasi) una scienza, oppure di come all’interpretazione dell’acerbo e spaccone ma talentuoso giovane comandante Kirk di Chris Pine manchi un minuscolo qualcosa e che a tradirlo sia la fissità del suo sguardo ceruleo, che lui sia a letto con due attraenti aliene o che gli stiano demolendo l’astronave. Potremmo anche accennare alla storia o alla bravura di Zachary Quinto nel ruolo dell’apparentemente insensibile e esasperatamente razionale Signor Spock o dell’ammirevole prova d’attore dell’inglese Benedict Cumberbatch che al suo spietato e apparentemente invincibile Khan regala una presunzione e una fierezza che a tratti ci fanno pensare a lui come ad un lontano cugino di Coriolano. Ma così rischieremmo probabilmente solo di annoiare il lettore perché tanto è stato il tam-tam pubblicitario e tanti gli articoli scritti su questo film che queste sono tutte cose che sicuramente già si sanno.

Il desiderio invece è quello di condividere quell’aspetto del film che alla fine della proiezione ha fatto sì che lasciassimo la sala di buonumore e mormorando un infantile “Wow!”. Sì, questo film ci piace e ci è piaciuto tantissimo per il modo in cui affronta il tema del terrorismo, delle guerre annunciate, del rispetto delle altrui culture, dell’amore per la giustizia e di come senza retorica ma, raccontando una favola dall’inizio alla fine, riesca comunque a ricordarci che l’uomo, che ogni forma di vita, dovrebbe sempre aspirare alla civiltà, quella sognata dagli enciclopedisti, quella che per grandi pensatori come fu per esempio Condorcet era un processo senza sosta e senza limiti inevitabilmente destinato a migliorare la natura umana e, come vuole la tradizione di Star Trek, anche quella di altre forme di vita sparse tra le infinite galassie.

E questo elemento è presente sin dalla prima sequenza mozzafiato che vede il Signor Spock pronto a sacrificare se stesso per il bene di una popolazione primitiva minacciata dall’eruzione di un vulcano e ci accompagna per gran parte dei cento e più minuti di durata della pellicola. L’ultimo episodio della saga firmato J.J. Abrams affronta l’argomento con economia e completezza senza essere mai didascalico: non mancano alte cariche militari che lavorano nell’ombra decise a scatenare redditizi conflitti con ingiustificati attacchi preventivi, né l’antica figura del giovane eroe che apprende sul campo il significato di giustizia e civiltà scoprendo finalmente se stesso e trovando dentro si sé quell’alto senso di responsabilità che nessuno gli avrebbe mai attribuito. C’è anche la minaccia (forse scongiurata, forse no) del genocidio e la scelta del dialogo a discapito della violenza con tutte le difficili conseguenze che una simile scelta può comportare. E quando ascoltiamo il Signor Spock parlare in materia di giustizia, ricordando all’equipaggio ma soprattutto al suo comandante che anche il più spietato dei criminali merita di essere processato abbiamo a tratti la sensazione di ascoltare un Ateniese del futuro o che l’Areopago si sia trasferito dalle colline di Atene ad una modernissima e tecnologicamente avanzata astronave, l’Enterprise.

Tutto questo ci fa pensare ad una delle più grandi menti del nostro secolo, Noam Chomsky, autore de “Il nuovo umanitarismo militare”… chissà come sarebbe stato vedere il film insieme a lui?

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