Non basta la parola/5
Dello scrivere di libri
Se un libro è brutto è meglio ignorarlo? Come si comportano i critici di professione? Il nostro mini-corso di scrittura analizza un genere letterario destinato al grande pubblico: la recensione. E il suo diretto derivato, oggi piuttosto in disuso: la stroncatura...
Allora, eccoci alla quinta lezione. Stavolta vorrei parlarvi di un genere letterario, la recensione, che possiamo far rientrare per approssimazione nella branca della saggistica, anche se si tratta di una saggistica breve e di solito concepita per un vasto pubblico. Di solito le recensioni sono difatti destinate ai giornali e possono trattare di arte, narrativa, poesia, musica, cinema, teatro ecc.
Recensire significa analizzare e valutare criticamente da un punto di vista sia formale che contenutistico. Il termine deriva dal verbo latino rĕcensēre e significa appunto esaminare, passare in rassegna, riflettere. Ora ci sono vari modi di scrivere una recensione. Concentriamoci sulla recensione di libri.
La recensione ortodossa evita di rivelare interamente la trama dell’opera (e in particolare il finale), fornendone solo stralci e indizi, per non privare il lettore del piacere di scoprirla da sé. Altri precetti possono essere di affrontare l’opera mettendola in relazione con le altre opere dell’autore e magari con altri autori a lui contemporanei o meno; di rispettare questa o quella clausola interpretativa-strutturale ecc. Ma uno può anche fare a modo suo, fregandosene di ogni precettistica, seguendo il proprio estro. Basta fare chiarezza su quello che realmente vogliamo. Io vi suggerisco di essere onesti, di dire la verità, di parlare bene se il romanzo è bello e male se è brutto, di adoperare formule e precetti di narratologia solo se li ritenete utile al vostro ragionamento e al vostro metodo.
Fare chiarezza con se stessi significa anche decidere – nel caso il libro letto sia brutto – se recensirlo, stroncandolo o meno. Dunque, vediamo di capirci sul concetto di stroncatura, ch’è un genere letterario in disuso. La regola non scritta è parlare bene del romanzo di cui ci si occupa, di consigliarne la lettura, magari con qualche distinguo.
Ma se un libro è brutto è meglio stroncarlo o ignorarlo? Beh, è giusto porsi il problema ma il discorso non è così immediato. Intanto la stroncatura, lunga o breve che sia, deve “convincere” chi legge a non acquistare quel libro e interessarsi ad altro perché il romanzo in questione è “inautentico”, o per dirla in modo più colorito, è una patacca.
La stroncatura ideale per me è quella “costruttiva”, che possa rivelarsi nel tempo utile all’autore, per il prosieguo della sua carriera letteraria, che instauri quindi un “dialogo sotterraneo” con l’autore. Ma come si comportano i critici di professione? Facciamo qualche nome giusto per orientarci, senza la pretesa di costruire mappe affidabili e a suggerire chissà che canone. Insomma, un discorsetto terra terra, giusto per farsi un’idea sommaria del problema. Partiamo dalle stroncature dei distinguo, le più numerose sulle pagine dei giornali, che condannano ma pure assolvono, interpretano, sottilizzano, che contano per il “non detto”. Qui è inutile fare nomi perché sarebbero troppi.
Poi c’è quella “irriverente” e ironica, che sfuma quasi sempre in “critica della cultura” (Alfonso Berardinelli e sue più o meno dirette filiazioni: Filippo La Porta, Matteo Marchesini ecc.). Oppure c’è la stroncatura che può definirsi con qualche approssimazione “ideologica”, portata a giudicare un libro non per il valore letterario in sé, ma per il grado di fedeltà a un’idea (politica, morale, sociale, estetica…): Goffredo Fofi, Andrea Cortellessa, Angelo Guglielmi, Gilda Policastro ecc… Poi c’è il critico che stronca per rispondere a un’“ecologia letteraria”, che ha un’idea eticamente alta della letteratura ed è assai legato alla tradizione letteraria (Massimo Onofri). E ancora, ci sono i critici interessati prevalentemente al linguaggio e al grado di “modernità” del testo, antinaturalistici per vocazione e direi per “missione vitale” (Renato Barilli, Angelo Guglielmi e loro filiazioni ecc.). Infine i critici che scelgono di ignorare i libri brutti. Per costoro l’atto dello stroncare viene esercitato attraverso l’esclusione: non mi occupo di te perché non ti considero abbastanza, questo il succo. (Raffaele Manica, Andrea Caterini ecc.).
1° Consiglio: la nostra è una società maschilista anche nella letteratura. Gli uomini scientemente o meno tendono a non pubblicare le donne, oppure a ghettizzarle nella scrittura al femminile oppure nella categoria “scrittrici mignotte” che parlano di pompini. Io credo nella scrittura delle donne – non “al femminile” – esattamente come credo in quella degli uomini.
2° Consiglio: evitate di scrivere racconti pieni di sbronze, droga o sesso estremo se queste cose non le avete mai praticate. Evitate di “recitare” nei vostri libri il disagio esistenziale o qualche insanabile ferita religiosa se tutto sommato in questo mondo state piuttosto bene. Fate a meno di scrivere di investigatori beoni, donnaioli e fichissimi se il massimo che avete bevuto è una Ceres in rosticceria e vi uccidete di seghe. Insomma, siate autentici, perché il lettore non è un coglione e non lo truffate. L’inautenticità è la cosa peggiore che puoi trovare in un libro.
3° Consiglio: evitate normalmente le frasi fatte, gli stereotipi verbali, tipo “assassinio efferato”, “buio fitto sulle indagini”, “cuore infranto” ecc.