Adriano Mazzoletti
Intervista a Peter Cincotti

Il crooner che viene dal jazz

Incontro a Roma col cantante americano di origini avellinesi in occasione del lancio del suo nuovo album “Metropolis”. La sua presenza era prevista a Umbria Jazz, ma il suo nome èimprovvisamente scomparso dal programma. Come quello di Sonny Rollins, costretto a rinunciare per problemi respiratori

Peter Cincotti, oggi trentenne, con origini avellinesi, pianista di jazz, cantante che si riallaccia alla grande tradizione dei crooner americani degli anni Quaranta, avrebbe dovuto suonare  a Umbria Jazz con il chitarrista Franco Cerri e la cantante Simona Molinari con la quale aveva già partecipato all’ultima edizione del festival della canzone di Sanremo con i brani Dr. Jekyll and Mr. Hyde e La felicità, mentre nel 2000, a soli diciotto anni, aveva partecipato al Festival di Montreux dove aveva ricevuto un premio per l’interpretazione di A night in Tunisia celebre composizione di Dizzy Gillespie. Dunque pianista jazz, ma anche cantante pop come il suo collega Michael Bublé, lo abbiamo raggiunto a Roma dove ha soggiornato qualche giorno per partecipare ad alcune trasmissioni radiofoniche per il lancio del suo ultimo disco Metropolis, dove però appare solo in qualità di cantante di dodici brani da lui stesso composti.

Perché non ha continuato con gli standars che hanno caratterizzato i suoi primi dischi?

«Debbo sempre fare quello che sento. Debbo cambiare spesso. È molto gratificante per me scrivere nuove canzoni. Scopri sempre qualcosa. Debbo cambiare, debbo andare avanti. Il passato è importante, però non ci si può fermare e ripetere sempre le stesse cose. Anche se sono considerato un cantante pop ho la mentalità del jazzista. Non mi piacciono le regole».

È stato ed è un pianista di jazz. Come pianista a chi si è ispirato?

«Sono stato influenzato da una infinità di musicisti, compositori, autori di canzoni. In primo luogo metterei Ray Charles, Sting, Oscar Peterson e Bill Evans. Però amo soprattutto quei musicisti che hanno creato uno stile, che hanno cambiato la strada che hanno spinto la musica in avanti. Insomma quelli che si affacciano alla musica in modo innovativo».

Lei appartiene a quella lunga lista di artisti americani di origine italiana, cantanti e musicisti come Frank Sinatra, Perry Como, Dean Martin, ma anche Joe Venuti o Chick Corea. Cosa hanno in particolare gli artisti italo-americani rispetto a tutti gli altri?

«È solo una coincidenza. Non vedo nessuna particolare attitudine artistica nel fatto di essere di origine italiana. Cosa si dovrebbe dire per gli afro-americani?».

Nella sua attività di musicista ha dei collaboratori che lo aiutano, come arrangiatori ad esempio, o fa tutto da solo?

«Dipende, nell’ultimo disco ho fatto tutto da solo. Gli arrangiamenti sono la parte più importante perché quando sento un brano per molto tempo, o quando compongo, avverto la necessità di creare sempre un arrangiamento originale e assolutamente personale. Come ad esempio St. Louis Blues, inserito nel mio secondo disco… è stato come comporre nuovamente il brano».

Lasciamo Cincotti con la promessa di rivederlo a Umbria Jazz come annunciato da varie agenzie di stampa, ma prima di mettere on line questa intervista, vediamo che il suo nome è scomparso dal programma. Forse un ripensamento, forse un errore di qualche agenzia. Ma Cincotti non è l’unico che non sarà a Perugia. Anche Sonny Rollins ha dovuto rinunciare alla tournée europea, ma in questo caso le ragioni sono state dichiarate apertamente: problemi respiratori che hanno costretto l’ottantatrenne sassofonista a non muoversi per nessuna ragione e soprattutto evitare accuratamente di “soffiare” nel suo sassofono.

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