Fa male lo sport
Tutto un altro Giro
Vincenzo Nibali sembra un campione d'altri tempi: potrebbe essere l'uomo grazie al quale il ciclismo ritrova credibilità e popolarità. E anche un po' di epica della sofferenza. S.D.: salvo doping!
A sentire quelli che seguono il ciclismo da una vita, lui è uno “pulito”, cresciuto a pane e bicicletta. Nessun intruglio, nessuna “bomba”. Lui è Vincenzo Nibali, protagonista assoluto del Giro.
Era dai tempi di Pantani che il ciclismo italiano aspettava qualcuno che galvanizzasse la carovana piuttosto afflitta dall’assenza di fuoriclasse e dal succedersi impressionante di scandali e vicende legate al doping, alla pratica truffaldina della medicina e della chimica per ottenere grandi prestazioni. Soltanto a gennaio scorso c’era stata la Grande Confessione, Lance Armstrong che ammetteva ogni cosa: sette Tour vinti abbuffandosi di ogni cosa che gli mettesse il turbo in corpo, quasi mischiando le carte con le terapie che l’avevano aiutato a sconfiggere il cancro. Il texano aveva trovato sistemi sofisticati e complicità tali da beffare tutti.
Come credere dunque che quel campione che si alza sui pedali e scappa via non sia una sorta di Big Jim gonfiabile? Che non stia tirando l’ennesima fregatura a te che sei lì sul ciglio della strada a incitare sotto il sole o sotto la neve? Oppure a te che stai comodo in poltrona ad aspettare la grande impresa in tv, pompata da telecronisti indulgenti, retorici, impegnati a vendere il prodotto?
Difficile dare risposte. Il ciclismo è diventato un po’ come la politica: nessuno ci crede più. Vittorie e giuramenti di purezza assoluta rischiano di mutarsi in grandi inganni nel giro di poco tempo. È successo tante volte e la pulizia non è stata completata. Lo stesso Eugenio Capodacqua, un giornalista da sempre in prima linea nel denunciare le pratiche illecite e i rischi per la salute degli atleti, ha scritto su Repubblica: su Nibali non si può nutrire nessun sospetto, ha sempre condannato i colleghi che ricorrevano alle medicine ma, attenzione, nuvole e ombre hanno sempre accompagnato la squadra del siciliano, la Astana (fu team anche di Armstrong), a cominciare dal boss, Vinokourov, che nel 2007 fu “pizzicato” e squalificato al Tour. La Gazzetta dello Sport, storico organizzatore del Giro, si è affidato alla speranza che molto sia cambiato. Pier Bergonzi ha scritto che in sostanza la corsa in rosa è sulla strada giusta e che il fatto che ci sia stato un nuovo caso – quello del recidivo Di Luca con il demone dell’Epo – se da un lato fa continuare a coniugare il ciclismo e il doping, dall’altro permette di dire che il colpevole è stato subito scoperto, i compagni di corsa hanno tutti avuto una reazione furibonda e l’associazione dei corridori vuole ricorrere agli avvocati per un “danno di immagine”. Onestamente sembra un po’ poco per dire che si sia imboccato una strada nuova.
Tuttavia il ciclismo è uno dei pochi sport sputtanati sulle pratiche dei propri affiliati. Anche per una sorta di processo di autocoscienza che gli altri sport non hanno mai fatto. Perché è inutile pensare che il calcio, ad esempio, sia immune da certe porcherie. Dovete sempre spiegarmi come faranno i calciatori a sostenere degli sforzi tanto ravvicinati e così pesanti nel corso di una settimana. Avranno anche loro delle pozioni magiche che per ora rimangono nascoste. Il business della palla rotonda è tale che ci si può aspettare qualsiasi cosa, comprese complicità, indulgenze e bugie. E il tennis? Vogliamo parlarne? Come si può pensare di affrontare tornei su tornei, uno di seguito all’altro, senza aiuti farmacologici? Forse varrà la pena attuare quello che Giampaolo Ormezzano, grande firma della Stampa, diceva dopo lo scandalo di Ben Johnson ai Giochi di Seul. Vale a dire che al termine di ogni articolo di sport, bisognava mettere la sigletta s.d., cioè “salvo doping”. Grande impresa, grande campione, ricchi premi e cotillons, però “salvo doping”.
“A pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca”, diceva Andreotti. Quando Maradona a Napoli cominciò a seguire le piste della cocaina, molti giornalisti avevano capito in quale baratro stesse sprofondando quel grande, unico calciatore. E c’era chi fremeva e voleva scrivere tutto. Ma la saggezza dei più vecchi consigliò di usare prudenza. Io stesso dovetti chiedere al cronista de l’Unità che andava dietro il Napoli di moderarsi perché sarebbero arrivate querele da togliere le rotative al giornale, come si usava dire quando si rischia troppo.
Non si può sparare nel mucchio, c’è tanto sport pulito. Ma ce n’è tanto, troppo, di sporco. Non ci sono le prove per inchiodarlo e quindi bisogna andare cauti. Non credo che il ciclismo sia il Male Assoluto. Non tarderà ad arrivare il giorno che molti altarini saranno scoperti. E troveremo sensazionali conferme ai sospetti e sorprese. A meno che non ci arrenderemo tutti, arretrando ancora sul piano dell’etica e della moralità, invocando la liberalizzazione del doping. Così anche l’ultima illusione, quella di uno sport di fatica e di coraggio, di campioni puliti, sarà svanita.