Fa male lo sport
Le lacrime di Mou
Mourinho, appena "licenziato" dal Real, è stato tutto il bene e tutto il male del calcio mondiale. Colto e aggressivo, furbo e sapiente. Ha dato più peso alla comunicazione che alla tattica, ma ha trattato i suoi giocatori come amici veri
C’è stato chi ha consigliato a De Laurentiis di prenderlo al posto di Mazzarri invocando un coup de théatre alla Ferlaino quando fece il blitz in Spagna e si portò Maradona a Napoli. Ma Mourinho è destinato all’adorato Chelsea, dopo il divorzio dal Real Madrid, “la peggiore stagione della mia carriera”, l’ha definita lui stesso: quasi “zero tituli”. E chi non lo vorrebbe? Uno che offre ogni giorno argomenti e titoli a tutto ciò che fa comunicazione. Perché in questo è davvero Special One. Al punto da offuscare anche l’altro Mourinho, il tecnico di calcio, l’allenatore che mischia tattica e psicologia, uno che ha vinto tanto. Ma anche un personaggio che divide: un grande per molti, insopportabile per tanti altri.
Un sabato, uno dei tanti fine settimana squassati da due, tre partite da giocare secondo il Sabba televisivo – un tempo, invece, era giorno di vigilia – mi chiamò in redazione Gianni Piva, inviato di Repubblica, per parlarmi della conferenza stampa dell’allenatore portoghese. Piva seguiva l’Inter che in quel week end avrebbe giocato la domenica. E mi raccontò un piccolo episodio. Mourinho parlava ai giornalisti radunati ad Appiano Gentile e ad un certo punto chiese chi avesse un taccuino, un libricino tipo Moleskine, le agende rosse. Il giornalista disse che lui quel libricino di appunti lo aveva. Mou fece un gesto inconsueto, chiamando in disparte Piva e dicendo a tutti gli altri: “La formazione la dò a lui…”. Scrisse così su quell’agenda i nomi degli undici nerazzurri che avrebbe impiegato il giorno dopo. Aggiungendo: “La verità è tutta in questo libretto”, mostrandolo alla platea. Il panico si sparse tra i cronisti, rimasti privi della preziosa informazione. Ma era un bluff anche quello: la domenica a San Siro giocò un’altra formazione, non quella che avevamo messo sul giornale.
Una caratteristica dell’uomo di Setubal è quella di non legarsi a nessun giornalista rovesciando una delle peggiori abitudini del calcio e del giornalismo italiano (in verità, non solo della stampa sportiva). Tra le leggende di cui si narra a proposito di Mou, è famoso l’inseguimento della Cnn che rimase in lista di attesa per diversi mesi prima di poter parlare con Special One: “Io parlo in conferenza stampa e vi dico tutto” era solito ripetere. Più che educazione fisica lui ha studiato marketing e comunicazione: niente è improvvisato, ogni parola al posto giusto per bucare lo schermo e conquistare prime pagina oppure postare su un blog. “Era Mou prima di essere Mourinho” mi confidava Maurizio Crosetti, altro inviato, e non solo di sport, di Repubblica. “Alla vigilia della finale di Champions tra il Porto e il Monaco, stupì tutti i media del mondo con una lezione di calcio. Molti di noi uscirono da quell’incontro dicendo: questo qui è matto”. Iniziò forse da lì, era il 2004, un crescendo rossiniano di incontri con los periodistas che avrebbero regalato sempre polemiche e slogan. In Portogallo, in Inghilterra, in Italia, in Spagna. “Please don’t call me arrogant, but I’m European champion and I think I’m a special one”, recitò presentandosi al Chelsea. E a Milano, qualche anno dopo, buttò lì quella frase che è diventato quasi un mantra: “Non son un pirla…”. Oppure gesti plateali: i polsi incrociati a indicare le manette, il dito nell’occhio del povero Vilanova.
Bollato come antipatico e presuntuoso, José Mario dos Santos Mourinho Felix è in realtà un uomo furbo, colto e ricco: al Real guadagnava oltre 15 milioni di euro all’anno. Non vende fuffa, anche nella sue sparate. Non è un piazzista, come certi politici. Perché poi ha vinto tutto quello che poteva, anche con i galacticos di Madrid. Ma il personaggio Mourinho è come se si sovrapponesse al tecnico, procurandogli forse qualche danno. “Perché non è stato un innovatore come Sacchi – mi raccontava Crosetti – ma certo è uno che ha capito che la comunicazione vale forse più della tattica”. Lui è sempre al centro dell’attenzione, per l’esterno, per la platea. Ma lui è anche il protettore dei suoi calciatori, a cui però non risparmia carezze e bastonate, fuori e dentro lo spogliatoio. Al Real ha fatto fuori Casillas, il portierone nazionale: in sostanza sospettava che facesse la spia alla sua compagna Sara Carbonero, la giornalista di Telecinco bella e sensuale. Tuttavia, ancora oggi Materazzi ama ripetere: “Non ho avuto nessun allenatore come lui”. E torna in mente quella scena che sembra tratta da un altro pianeta del calcio, un mondo fatto di sentimenti e di emozioni, non la play station che è diventato il gioco più bello del mondo. È la notte del 22 maggio 2010: esterno della stadio Bernabeu, sì proprio il mitico stadio del Real, la finale di Champions League con il Bayern Monaco è finita da un pezzo, due gol di Milito e l’Inter, dopo lo scudetto e la Coppa Italia, realizza lo storico “triplete”. Una lussuosa berlina parte ma poi si ferma all’improvviso. Mourinho scende dalla macchina e si dirige verso uno spilungone che sta appoggiato al muro di ingresso degli spogliatoi del Bernabeu. Quello spilungone è Materazzi. I due si abbracciano, si dicono qualcosa, piangono: un pianto vero, una cosa non studiata, non combinata. Mourinho ha già detto ai giocatori interisti che li lascerà, che la stagione che verrà sarà lì al Bernabeu, entrenador di una delle squadre più blasonate al mondo, i blancos, fiore all’occhiello, ai tempi, di Franco e del suo regime. Sembrano due amanti che si dicono addio, sono due uomini veri. Forse Maurizio Crozza sbagliava quando diceva, a modo suo, che Mou non piange ma suda dagli occhi come fosse una Madonna.
Gianni Cerasuolo, che con questo ritratto di Mourinho comincia a collaborare con Succedeoggi, ha lavorato a lungo prima a l’Unità dove è stato responsabile delle pagine degli Spettacoli e dello Sport, poi a Repubblica dove è stato caporedattore dello Sport. È stato anche vicedirettore del Quotidiano della Calabria.