Quando lo sport diventa letturatura
Il gol di Di Stefano
Ricordate Alfredo Di Stefano? Un mito del calcio che ha giocato in due nazionali, Argentina e Spagna, Idolo di Pelè, inseguito da Messi (nella classifica marcatori). Bene.A 86 anni ha deciso di risposarsi. Con l'autrice trentaseienne della sua biografia.
Alfredo Di Stefano è atteso all’ultimo dribbling: sposarsi all’età di 86 anni. “Quando abbiamo finito il libro, non volevamo più separarci”. Sono parole di Gina Gonzales, trentaseienne costaricana che presto sposerà Di Stefano, il Messi degli anni cinquanta-sessanta, la “Saeta rubia” che fece impazzire i tifosi del Real Madrid. Una relazione completa la loro poiché la ragazza è ufficialmente segretaria particolare, biografa, manager e agente di Di Stefano al punto che si è fatta tatuare sul braccio il soprannome del campione. Fin qui nulla di speciale se non che la ragazza ha meno di cinquant’anni dell’ex attaccante argentino, classe 1926, campione nei prati erbosi e nelle alcove d’amore. Il simbolo vivente della maestosità del Real Madrid, è riuscito a scartare anche complicate situazione amorose tanto da meritarsi in Spagna la fama di “Don Giovanni impenitente”.
Una propensione che Di Stefano non hai celato, accanto a quella di essere un accanito bevitore e fumatore. Ma anche un esempio che, talvolta, gli eccessi allungano la vita! Dunque Di Stefano non sarebbe da accostare a Leo Messi ma piuttosto a Diego Maradona, volendo fare dei paragoni a distanza. Anche se nel 2005 è incappato in un infarto e da tempo soffre di diabete, l’ex madrilista ha deciso di spostarsi la bella trentaseienne. Del resto ha resistito ben otto anni da vedovo! Ma ora vuole fare le cose in fretta, un mese al massimo, per presentarsi di fronte a un prete e pronunciare il fatidico sì.
Ovviamente galeotto fu il Real Madrid di cui Alfredo Di Stefano è presidente onorario e dove lavora la ragazza latino americana. Una relazione che ha insospettito i figli della “Saeta rubia” che mal sopportano l’intrusione della costaricana nella futura e certamente non imminente spartizione dell’eredità. Alfredo, Silvana, Helena, Ignacio e Sofia hanno sequestrato in casa il padre per cercare d’impedirgli di vedersi con Gina e hanno fatto sapere di voler chiedere a un tribunale la dichiarazione d’incapacità. La richiesta è stata già accettata e nelle prossime settimane Di Stefano sarà costretto alla visita. Un “provino” che non merita. Ma lui tira dritto per la sua strada: “Cosa volete che dicano i miei figli. È chiaro – sostiene – che sono contrari. Ma a me non importa: io sono innamorato di Gina perché ho il cuore giovane”.
Alfredo Stéfano Di Stéfano Laulhé è considerato da molti come uno dei migliori giocatori di tutti i tempi. Un attaccante dell’Olimpo del pallone, come lo stesso Pelé ha ammesso nel 2004, inserendolo nella lista dei FIFA 100. L’Association of Football Statisticians lo ha incluso al 22º posto nella storia del pallone, la rivista World Soccer al sesto posto tra i calciatori più importanti del ventesimo secolo. Secondo Brera era più forte di Pelé. In carriera ha vestito la maglia di due Nazionali diverse, Argentina e Spagna. È il miglior marcatore nella storia del Clásico con 18 reti, alla pari con il connazionale Lionel Messi.
Nato a Barracas, uno dei barrios di Buenos Aires, Di Stéfano è figlio di Alfredo Di Stéfano, italo-argentino di prima generazione. Suo padre Michele era emigrato da Nicolosi, in provincia di Catania ed aveva sposato Eulalia Laulhé Gilmont, donna argentina di origini francesi e irlandesi. Papà Alfredo era un modesto giocatore del River quando portò il ragazzo nelle giovanili della Banda Roja. Aveva quindici anni, giocò subito nella seconda squadra, poi esordì nella prima attirandosi l’invidia di Adolfo Pedernera, l’idolo del momento. Così Di Stefano finì il prestito all’Huracan ma nel 1946 rientrò al River chiamato dal nuovo allenatore Monella vincendo lo scudetto dell’anno successivo. Quell’ingranaggio perfetto venne chiamato La Maquina del River. Di Stefano ci durò poco perché si trasferì ai colombiani Millonarios nel 1949 e quindi al Real.
Ma quella Maquina passò alla storia con Di Stefano, Labruna. Angelito El Feo, Muñoz, Moreno, Pedernera e Loustau, los caballeros de la angustia per i terzini e centromediani che dovevano marcarli a vista: olio, benzina, tiri al volo, coppia motrice, veroniche, cambio e frizione, colpo di testa, differenziale, marce ingranate e dribbling. Ah che spettacolo, La Maquina!
Ángel Labruna era figlio di un emigrato di Avellino che aveva avviato un negozio d’orologi nel quartiere di Palermo. Si dice che con Di Stefano, per non farsi capire dagli avversari, parlassero i rispettivi dialetti del meridione d’Italia. Per confondere ancora di più le acque Moreno era solito urlare: “A papà, a papà!”, richiamo ancestrale alle storie famigliari migratorie. Quasi tutti se ne andarono in Europa, tranne Labruna, oriundo dalla testa brizzolata e mossa, dal baffo facile e dai denti sporgenti. Rimase la bandiera della Banda Roja, porteño nel sangue e nel cuore che dichiarava: “La fortuna di Di Stefano Saeta Rubia la ho creata io! Come quella di Omar Sivori El Cabezón! Ho forgiato un sacco di campeon!”
Di Stefano voleva imitare il suo idolo, Arsenio Erico, centrattacco dell’Independiente, un tipo fosco che non degnava di un saluto nessuno, che andava a prelevare lo stipendio trovandolo sempre inferiore ai suoi meriti. Così Di Stefano prese subito il largo spendendo i suoi polmoni a tutto campo. In Colombia segnò 157 gol in 182 partite, in Spagna dal 1953 vinse 8 campionati, 5 Coppe dei Campioni , andando sempre a segno nelle rispettive finali, unico nella storia, una Coppa Intercontinentale, due Palloni d’Oro. E dire che aveva esordito perdendo una partita con i francesi del Nancy! Poi si rifece segnando nei suoi 11 anni con i blancos 332 gol in 372 partite di campionato, con una media di quasi 0,9 gol a partita. Chiuse l’esperienza a Madrid, il 27 maggio 1964 nella finale di Coppa Campioni contro l’Inter. Nel 1964 si trasferì all’Espanyol dove giocò fino al 1966 e concluse la sua carriera all’età di 40 anni. Con le donne, invece, non ha ancora terminato il suo curriculum.