Nicola Fano
"Le voci di dentro" all'Argentina

Famiglia Servillo

I due fratelli in scena (a Roma) con Eduardo incarnano un'idea antica, affascinante e modernissima di teatro d'arte fatto di facce, parole e idee. Insomma: è quasi un capolavoro annunciato

La famiglia d’arte è un’istituzione antica: generazioni d’attori, saltimbanchi, musicisti allevati direttamente sul palcoscenico che mangiavano applausi e polvere. Soprattutto polvere. Trasmettere l’arte per veicoli familiari è un modo particolarissimo per consentire alle idee e ai mestieri di attraversare i tempi. Non c’è accademia, non c’è formalismo, non c’è spocchia: solo sudore e sensibilità per le cose concrete. Questo funziona, questo non funziona: lo impari guardando. Ecco, credo che quando Toni e Peppe Servillo hanno deciso di andare in scena insieme (con Le voci di dentro, un testo di Eduardo, per di più) hanno anche inteso rendere omaggio a tutto questo. Che è la miglior scuola di teatro e spettacolo della storia: una storia nella quale loro aspirano a iscriversi a pieno titolo e a pieno titolo vanno definitivamente iscritti.

Ho conosciuto tanti “fratelli d’arte”: ho condiviso un lungo pezzo di vita con Pupella, Rosalia e Beniamino Maggio; ho avuto il gusto raro di essere amico di Pietro De Vico (seppure quando il fratello Mario era appena morto). E tanti altri ancora. E ogni volta ho notato che essere “fratelli d’arte” comporta un grande vantaggio su tutti gli altri attori: bisogna imparare a identificare subito se stessi perché il pubblico non confonda uno con l’altro. Beniamino aveva inventato se stesso ballerino acrobatico per distinguersi dai fratelli Dante e Enzo Maggio. Pupella aveva scelto il teatro drammatico per la stessa ragione. Rosalia emigrò per inventarsi un’altra vita… Pietro De Vico creò su di sé il personaggio del cacaglio, del balbuziente, per differenziarsi dai fratelli. Sistemato nel primo palco di platea dell’Argentina, l’altra sera, assistendo a Le voci di dentro proprio dal lato del palcoscenico ho avuto il privilegio di vedere i due attori di profilo e di potere valutare il peso del naso di famiglia. E ho capito quale sforzo devono aver fatto i due, già da ragazzi, credo, nell’afa culturale di Caserta, per edificare ciascuno un’immagine diversa di sé. Ma il problema è tutto lì: distinguersi per essere. Ecco perché, per esempio, Toni Servillo è ormai uno dei massimi attori europei in materia di trasformismo e di reinvenzione dei personaggi cinematografici!

E poi, vedendo i due Servillo in scena, m’è subito tornato in mente il film Viva la libertà di Roberto Andò negli quale Toni recita i ruoli di due gemelli. Sennonché, se posso permettermi un sommesso, non richiesto consiglio, suggerirei a Toni e Peppe Servillo di fare un singolare esperimento: interpretare i due ruoli dei Gemelli veneziani di Goldoni (o di qualunque altro classico attinga al meccanismo millenario del sosia-gemello) proprio per disvelare il meccanismo. Lì dove Goldoni (ma prima di lui Plauto, Shakespeare, ecc.) ha previsto un attore per due ruoli rovesciati al fine di esaltare la maestria tecnica dell’interprete, Toni e Peppe Servillo potrebbero scomporre il gioco e divertirsi semmai in quel caso a esaltare le similitudini…

Detto tutto questo, resta da notare che lo spettacolo in scena ora all’Argentina (già esaurite tutte le repliche: una buona notizia per la cultura italiana!) dopo il debutto francese e la tappa milanese al Piccolo, è un grande, grandissimo esempio di “teatro all’italiana”. Nel senso di teatro d’attori e di idee. La vicenda pazza (solo Eduardo poteva costruire un intreccio “politico” a partire da un sogno che tutti hanno utilità a considerare realtà) trova una sua attualità nella lettura che ne dà Servillo (Toni) regista: in questa commedia amara nessuno dice mai la verità. Proprio come nella vita reale. Al punto che nessuno, in fin dei conti, può scontare vere colpe o vantare una vera ragione. La trama – ricorderete – immagina un uomo che “sogna” un delitto commesso dai propri vicini di casa e lo denuncia come reale alle autorità. E quando ammette di essersi sbagliato, tutti hanno qualche interesse perché quel sogno sia realtà: i vicini di casa si accusano l’un l’altro, il tribunale ha bisogno comunque di un colpevole (l’iter burocratico è stato avviato) e il fratello del sognatore vuole approfittare dell’occasione per liberarsi del congiunto spedendolo in galera e vendendo i pochi beni paterni rimasti… Sembra un romanzo di Osvaldo Soriano, di quelli in cui si perde immediatamente il senso della giustizia. Solo l’apologhetto (un po’ moralista, ma s’era in altri tempi, 1948) che Eduardo pose a suggello del suo copione cerca di dipanare il bene dal male. Ma il senso dato da Toni Servillo, lo ripeto, è quello più giusto oggi: colpe e ragioni sono equamente divise, nel caos di oggi, al punto che ciascuno può scaricarsi tranquillamente da ogni responsabilità in nome di una malintesa libertà.

Ultima notazione: gli attori. A parte la nota, stranota bravura di Toni Servillo (che altre parole s’hanno da usare?), a parte la felice scoperta dell’attore Peppe Servillo (una faccia inverosimile, strepitosa!), è tutta la compagnia a brillare per efficacia. Da Gigio Morra che riesce a oltrepassare il cliché del bozzettismo fino a Chiara Baffi (figlia d’arte a propria volta) che mostra una solidità e una sicurezza quasi impensabili per una ragazza tanto giovane. Ma tutti meritano di essere ricordati: Betti Pedrazzi, Marcello Romolo, Lucia Mandarini, Vincenzo Nemolato, Marianna Robustelli, Antonello Cossia, Daghi Rondanini (quasi una “partecipazione straordinaria”, la sua), Rocco Giordano, Maria Angela Robustelli e Francesco Paglino. Tutti bravi! E questa è la forza dello spettacolo. Un’occasione da non perdere, e se le repliche romane sono già esaurite, di sicuro ce ne saranno molte altre nelle prossime stagioni.

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