Anna Camaiti Hostert
Cartolina dall'America

La politica della verità

Nel dibattito con lo sfidante, Kamala Harris ha opposto la realtà alle fantasie della nuova destra americana. Ma gli elettori Usa sono ancora in grado di credere alla verità?

Con il ciuffo un po’ meno giallo e i denti un po’ più serrati Donald Trump ha finalmente incontrato la sua sfidante la quale ha segnato il passo del dibattito fin dall’inizio. Infatti appena arrivata sul palco Kamala Harris, in un completo scuro sobrio ed elegante, si è diretta dal lato di Trump e, stringendogli la mano, si è presentata. Del resto, i due non si erano mai incontrati ufficialmente. Cosi fin da subito ha ristabilito quella decenza e quel civismo, ormai perduti da tempo in tutti i consessi politici, che invece grazie a lei hanno contraddistinto questo dibattito per tutta la sua durata: 90 minuti. All’incontro non partecipava il pubblico e i microfoni dell’un candidato erano muti quando parlava l’altro.

Ma vale la pena di ricordare che questo match che si è svolto al National Constitutional Center di Filadelfia in Pennsylvania, uno dei swing states più combattuti tra i due contendenti, è stato moderato da due giornalisti molto capaci e molto seri: David Muir e Linsey Davis del canale Abc. I due, a differenza dei giornalisti decani della CNN Dana Bash e Jake Tapper che al primo dibattito tra Donald Trump e Joe Biden in giugno non erano intervenuti per additare molte delle falsità di Donald Trump, in questo caso hanno corretto le bugie dell’ex presidente in almeno due casi. Quando Trump ha affermato che in alcuni stati è possibile abortire anche dopo la nascita, cioè in pratica uccidere il neonato ciò è stato smentito da parte della giornalista Linsey Davis che ha precisato che negli Stati Unit non esiste tale possibilità. Successivamente quando l’ex presidente ha detto che gli immigrati haitiani a Springfield in Ohio mangiano gli animali domestici dei residenti della città, l’affermazione è stata corretta da David Muir il quale citando il city manager della città ha fatto notare che ciò non era vero. E quando Trump ha ribattuto che l’aveva sentito in televisione, il giornalista durissimo ha replicato: “Non ho visto questo in televisione, l’ho appurato dal city manager che ha affermato che non c’è assolutamente nessuna prova di ciò”.

Naturalmente, sulla base di questi comportamenti i repubblicani hanno gridato al complotto, affermando che i due giornalisti della Abc erano prevenuti nei confronti dell’ex presidente.

Il dibattito dunque ha visto come vincitrice assoluta della competizione Kamala Harris. Grazie al suo decoro e alla sua intelligenza la vicepresidente è riuscita a entrare sotto la pelle di Trump e a irritarlo cosi tanto da fargli perdere molte occasioni di replicare nei contenuti alle accuse a lui rivolte, tutto preso, come è stato, dalla ricerca di giustificazioni e discolpe. E Harris ha rintuzzato anche i tentativi di essere bullizzata come quando Trump ha cercato di farla rientrare nell’alveo di Biden e la vicepresidente ha risposto: “Chiaramente, come si vede, io non sono Joe Biden e non sono neanche Donald Trump e quello che ho da offrire è una nuova leadership”.

Le accuse di Harris avevano, al contrario di quelle di Trump, sempre una base reale, veritiera; ad esempio quella di volere decidere al posto delle donne su cosa fare del loro corpo come nel caso della decisione della Corte Suprema, con una maggioranza  di giudici nominata da Trump, di eliminare la legge sull’aborto, quella Roe vs Wade, che da più di cinquant’anni costituiva un patrimonio civile e sociale per  tutte le donne americane o quella di avere messo in pericolo la democrazia con  l’attacco del 6 gennaio a Capitol Hill. O quella in politica estera di essere considerato da tutti i leader mondiali un pagliaccio e di flirtare con molti dittatori e autocrati come Putin che sicuramente che dopo che si sarà servito di lui “se lo mangerà a colazione”. E certo non è servito a molto che Trump abbia menzionato le lodi ricevute da Viktor Orban o da Vladimir Putin che a sua detta se fosse stato presidente lui non avrebbe mai invaso l’Ucraina. Una pura ipotesi. E finalmente l’accusa che più lo ha irritato è stata quella sulle dimensioni del suo pubblico, quasi fossero quelle del suo organo virile. Infatti Harris ha invitato tutti ad andare ai suoi comizi nei quali parla di personaggi fittizi e fa affermazioni surreali, dicendo che non c’è mai tanta gente perché le persone se ne vanno prima che finiscano, perché si annoiano. Qui il presidente ha risposto contrattaccando bizzosamente che nessuno va ai comizi di Harris perché non ce n’è ragione, mentre i suoi sono grandi e sempre tanto seguiti. Ci sono folle enormi. Una pura ripicca come quella dei bambini che, nei confronti del rivale, rivendicano sempre di avere il giocattolo più grande o quello migliore.

Il cavallo di battaglia di Trump, si sa bene, è il problema dell’immigrazione anche se non è stato da lui articolato organicamente in quanto l’ex presidente è stato tutto preso dal difendersi dalle accuse di Harris che ha semplicemente risposto sul tema, annunciando prossimi provvedimenti più restrittivi.  Questa è una trave portante della strategia di Trump che fa leva sulla paura e un soggetto centrale di tutta la campagna elettorale in generale, specie in alcuni stati dove l’immigrazione è molto pesante. Se ne vedono i risultati ovunque, specie dopo le recenti ondate migratorie in quanto, ad esempio, andando nei supermercati si trova sempre molto più di frequente un personale che non parla né capisce capisce l’inglese e questo può essere un elemento che fa leva immediata sugli elettori e incide molto sul futuro del voto.

Ma quello che ha colpito di più in questo dibattito è stata la differenza tra le audience a cui si rivolgono i due contendenti. Trump da’ informazioni false, parla di teorie del complotto, drammatizza le situazioni   e si rivolge a un pubblico che crede alle sue affermazioni false o vere che siano. Questo pubblico lo segue ciecamente in una deriva pericolosa e senza fondo, perché è poco informato e molto partigiano, estremizzato ideologicamente. Come è possibile, ad esempio, accusare Kamala Harris di essere una pericolosa marxista quando Goldman Sachs e la Wharton School dell’Università della Pennsylvania hanno dato il loro appoggio al suo piano economico?

Harris parla a un pubblico che ascolta e vaglia le sue proposte, che ha problemi economici quotidiani, che con il proprio stipendio deve arrivare in fondo al mese, che paga, come nel caso degli anziani, per alcuni farmaci che garantiscono la sopravvivenza cifre esorbitanti e che le assicurazioni non passano. Un pubblico fatto di donne che non hanno più la possibilità di essere assistite anche in caso di aborti spontanei, perché il personale medico ha paura di essere perseguito legalmente, un pubblico fatto di giovani che devono iscriversi all’università e pagare tasse altissime, quegli stessi giovani che manifestano sia a favore dell’ambiente sia contro le guerre. In sostanza Harris si rivolge a un pubblico fuori di lei, a un “tu” che per Trump, cosi preso dal suo narcisismo è incomprensibile. Per questo fabbrica falsità e bugie che servono a concentrare l’attenzione attorno alla sua persona, a fidelizzare il suo pubblico, e a estremizzarlo, tenendolo sempre pronto ad azioni imprevedibili e pertanto pericolose. Ed è sostenuto in questo, cosa incomprensibile vista la differenza di età e di posizione, da quel suo vicepresidente J.D. Vance che continua, assieme a lui, a diffondere notizie false e assurde teorie del complotto.

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