Giuliano Capecelatro
La disfida italo-francese

La Scalinata contesa

La Francia rivendica la proprietà della Scalinata di Trinità dei Monti: uno scherzo solo a metà. Forse nasconde una nuova battaglia tra storia e cultura

Aux armes, citoyens! No, non allarmatevi, almeno per ora. Ma, in un’epoca di animi surriscaldati e deliri guerrieri, con ogni bravo borghese ansioso di gettare il cuore oltre le trincee, ci si potrebbe arrivare. Con buona pace degli ultimi frammenti del sogno di un’Europa unita. La Francia, che mai rinuncia a vellicare la propria, vera o presunta, grandeur, si è fatta i conti in tasca e, con un voluminoso documento redatto dall’autoctona Corte dei conti, rivendica nientemeno che la celebre scalinata di Trinità dei Monti. Scagliando la bomba mediatica attraverso il quotidiano Le Monde, universalmente etichettato come autorevole.

Non è uno scherzo. I titoli per richiederla non mancano. È un fatto storico che la debordante gradinata che oggi unisce piazza di Spagna – altro celebre set internazionale – a Trinità dei Monti sia stata costruita dai francesi. Meglio: i francesi ci misero i soldi; e per una nazione che può vantarsi di aver coniato il celeberrimo motto ultraliberista Laissez faire, laissez passer, origine di non poche sciagure economiche e non, questo vuol dire molto.

E poi, senza mezzi termini, i francesi accusano gli italiani, che solo dalla fine dell’800 accudiscono il monumento, di sciatteria e negligenza. Altro che le cure che riceveva quando se ne occupava, in accordo con lo Stato vaticano, il Pieux Etablissement.

Ma cos’era quel quadrante di città prima che, appunto, il cardinale Pierre Guérin de Tencin, forte dei quattrini che assicurava il mecenate Étienne Gueffier, commissionasse l’opera? Che, tanto perché fosse chiaro, a metà dell’ascesa, in una targa marmorea esalta (in latino, bontà loro) l’impulso dato dal cardinale Melchiorre de Polignac. L’attuale piazza delle meraviglie era un prataccio, dove le donne mettevano i panni ad asciugare e dove vivacchiavano sordide bettole in cui Caravaggio, i suoi colleghi e accoliti, si riunivano e reclutavano le loro puttane e i loro drudi. Da qui un declivio, fangoso o polveroso secondo le stagioni e pullulante di erbacce, saliva verso la chiesa di Trinità dei Monti.

Poi arrivò il papà di Benvenuto Cellini, Pietro, e, su commissione papale, mise mano alla Barcaccia, si dice per ricordare una terribile alluvione che fin lì avrebbe spinto un relitto. Non è improbabile che Benvenuto abbia in piccola parte contribuito. Quindi, nel Settecento, la grandeur dei cugini d’Oltralpe aprì un imponente cantiere. Fino al 1726, anno in cui la scenografica scalinata si mostrò agli occhi del mondo. E da subito si impose come luogo prediletto di acchiappanza e appuntamenti al limite del lecito.

A ulteriormente celebrarla concorse non poco un film, Vacanze romane di William Wyler, girato nel 1953 e uscito in Italia nel 1954, in cui la grazia discreta di Audrey Hepburn e la sagoma elegante di Gregory Peck si accoccolavano sui gradini, interrompendo per qualche minuto le loro peregrinazioni capitoline in sella a una Vespa. Anni in cui l’Italia era ancora in ginocchio per la guerra. Piazza di Spagna e la scalinata erano splendide e ammirate come sempre, ma lontane mille miglia dalla magnificenza bottegaia che ormai contrassegna ogni centimetro del Tridente.

“Confermare lo stato giuridico” è lo slogan della prossima guerra di scartoffie lanciato dai magistrati parigini. Benzina sul fuoco dei rapporti, già tutt’altro che idilliaci, tra Emmanuel Macron e Giorgia Meloni, guide dei due paesi. La richiesta, quasi un malizioso contraltare alle reiterate itale lamentele per la Gioconda parcheggiata al Louvre (dove nel 1913 un italiano riuscì persino a rubarla e mise nei guai il poeta Apollinaire), li porterebbe a digrignare con maggior ferocia i denti e fare il truce viso dell’armi. Già, nei pressi di Montecitorio, si levano le grida sdegnate degli scherani della presidente del Consiglio: l’armi, qua l’armi (culturali, per ora). C’è da aspettarsi un primo altolà per reclamare la consegna di Boulevard des Italiens, in attesa di varcare la Senna e marciare dritti sul Louvre.

Ma in effetti, chi ci assicura che, per restare all’altezza dei tempi, questi nostri fastidiosi vicini non vogliano, un passettino alla volta, avventurarsi in una subdola escalation? Nella città eterna i transalpini posseggono già, da palazzo Farnese, sede dell’ambasciata, allo splendore caravaggesco di san Luigi de’ francesi, numerose enclave.  E chi non darebbe un occhio della testa per attribuirsi, come l’intraprendente Totò con la fontana di Trevi, la proprietà di quell’inestimabile monumento? La Francia e le sue pertinenze ai francesi, ça va de soi. Che, guidati dall’immarcescibile spirito mercantile, non è da escludere che troverebbero sacrosanto imporre biglietto d’ingresso e relativi tornelli.

A proposito. E l’Europa? È attivamente impegnata nel far calcolare alle sue teste d’uovo quante centinaia di miliardi si possono convogliare verso l’industria delle armi. Tutto per la nostra sicurezza, sempre in cima ai loro pensieri. Con impegni di questa portata, che volete che sia una scaramuccia strapaesana?

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