Gianni Cerasuolo
Suggestioni olimpiche

Quei campioni timidi

Thomas Ceccon, Gigi Samele, Nicolò Martinenghi, Benedetta Pilato: gli "eroi" italiani di Parigi sono persone normali. Ed è proprio la loro "normalità" la migliore lezione delle loro vittorie

Beati loro. Hanno certezze fin da ragazzini questi giovani del nuoto italiano che regalano medaglie e voglia di fare come loro. Se solo si potesse tornare indietro. Perché Thomas Ceccon (nella foto accanto), oro nei 100 dorso alla Défense Arena, lo ha raccontato tante volte il fatto, e lo ha ripetuto anche dopo la vittoria: «Avrò avuto quindici anni, ero in macchina con il mio allenatore e lui mi ha chiesto che cosa volevo fare andando in piscina. Io non ci ho pensato su molto e gli ho risposto: vincere l’Olimpiade». Detto e fatto. Come gli eroi dei cartoni giapponesi, tipo Gorku che insegue i propri sogni e non molla mai. Spavaldi e teneri.

Le Olimpiadi proiettano sempre storie di vita quotidiana nelle due settimane di gare. I campioni che salgono sul podio non sono quasi mai divi, personaggi di grande popolarità. Sono gente che si incontra al supermercato, in ascensore, decorosamente anonimi. E poi ogni cosa nel mondo buono di Olimpia sembra incantato, sognante. A volte falso. Come ogni giorno della tua esistenza. Djokovic che abbraccia Nadal, avevano cominciato circa venti anni fa. E continuano. Forse è anche un mondo ovattato quello del Villaggio e dintorni. Sulle alture del Golan dei bambini, arabi, drusi, giocavano a pallone come fanno tutti i bambini, poi gli è piovuto addosso un razzo sparato da altri arabi: bum. Adesso siamo qui ad aspettare la risposta, la risposta di Israele, come fosse un tragico ping pong di missili e terrore. Pochi giorni fa, in una conversazione con il direttore della Stampa, Andrea Malaguti, l’Alto commissario della Nazioni Unite per i rifugiati, Filippo Grandi, cercava di spiegare il mondo con gli occhi degli altri e diceva che bisognerebbe guardare avanti e smettere di parlare di imprese coloniali e di imperialismo. Ma lui stesso ammetteva che l’eredità di quel passato – sono parole sue – è ancora presente: «Io nel Sud globale ci vivo. E sento forte il risentimento». E proseguiva: «Le faccio un esempio pratico… i vaccini… durante il Covid l’Occidente si curava e guariva. I medicinali sono arrivati in fretta. Nel Sud globale le cose sono andate diversamente. Spesso venivano consegnate scorte scadute». E quindi queste Olimpiadi a che servono? «Sono un modo per stare insieme, per dire che non vogliamo le diseguaglianze pur sapendo che ci sono».

Un sognatore, un idealista. Merce rara, oramai.

Ceccon è stato un sognatore ed è un bel ragazzo dagli occhi di ghiaccio di 23 anni, veneto di Thiene, come di Thiene è Paolo Conte Bonin, compagno della staffetta di bronzo, in cui c’è ancora un altro veneto Manuel Frigo, di Cittadella però (solo Alessandro Miressi, il quarto, è uno di città, torinese). Ragazzi di provincia che hanno bene in mente che cosa fare. Ragazzi fuori dalle malestorie di ogni giorno. Thomas si sveglia ogni giorno alle 6,30 e va ad allenarsi, da quando era un bambino. Come un pendolare che deve andare al lavoro. Per questo ad un certo punto si è messo a odiare l’odore del cloro. Come certi nostri nipotini che dopo scuola devono andare in piscina e a un certo punto dicono basta. Poi ha cambiato idea, più avanti ha smesso di scherzare con l’acqua. Nuotiamo nell’oro titolavano molti giornali. Fosse vero.

Ma anche un signore di 37 anni, un fratello molto maggiore di quelli di sopra, dei Ceccon e compagnia, facciamo che sia uno zio, fa cose di ogni giorno. E le cose di ogni giorno raccontano segreti a chi le sa guardare e ascoltare, scriveva Gianni Rodari e cantava Sergio Endrigo, perché poi ci vuole un fiore. Gigi Samele (nella foto accanto), che prende un bronzo nella sciabola, da giovane era un ultrà del Foggia di Zeman, andava allo Zaccaria a vedere Ciccio Baiano e Beppe Signori.  A un certo punto voleva fare il mago, e questa non è una professione di ogni giorno, e poi il pianista. Alla fine si è innamorato di una donna ucraina, che pure lei tirava di sciabola, Olga Kharlan, e quando le bombe russe cadevano sull’Ucraina si è messo in macchina ed è andato a prendere la sua compagna, la sorella e il figlio di quest’ultima e li ha portati a Bologna. Una cosa normale. «Ho fatto quello che avrebbe fatto chiunque, non fatemi passare per un eroe», ha continuato a ripetere con semplicità anche nei giorni successivi all’esibizione sulla pedana olimpica. Uomini.

Nicolò Martinenghi, detto Tete, il primo oro dell’Italia a Parigi, sempre nella piscina, è tifoso dell’Inter e quando può la va a vedere ed essendo di Varese voleva giocare a basket (avete presente Meneghin, padre e figlio, Bob Morse?). Poi l’hanno buttato in acqua. Non ha un tatuaggio, ha un brillantino sui denti e per l’occasione si è colorato i capelli di platino, insomma d’oro. «Contava vincere per la mia famiglia e per i miei amici. Noi viviamo di questi momenti». La famiglia, gli amici, il bacio alla fidanzata. Accanto a lui nuotava la rana anche Adam Peaty, quasi una leggenda del nuoto. E l’inglese, che si è preso pure il Covid in questi giorni, ha conosciuto momenti terribili quando sprofondi nella depressione e ti attacchi alla bottiglia. Racconti quotidiani. Per fortuna è passata. Nicolò era lì consolarlo.

Martinenghi e Ceccon non hanno versato una lacrima. Di solito sul podio, o appena termina una gara, si aprono le fontanelle sulle note dello zumpapà bandistico. Gioia, rabbia, sacrifici, rammarico, le lacrime dicono tante cose. Il veneto però è sembrato trattenersi e quasi mordersi le labbra mentre saliva il tricolore sull’asticella più alta e ad un certo punto mormorava i versi che i calciatori cantano in modo sguaiato. Pareva di una timidezza sconcertante il quel momento, un gigante con l’aria del pulcino bagnato, anzi un albatros di Baudelaire, se non fosse che nel nuoto di albatros ce ne è stato uno solo: il grande Michael Gross. E che farai stanotte, Thomas? Giocherò a carte, questo è il massimo. Una briscola, come dei vecchietti di paese.

Ha pianto invece Benedetta Pilato (nella foto accanto), che non è salita sul podio dei 100 rana, per un battere di ciglia. «Ci ho provato fino all’ultimo e queste sono lacrime di gioia, credetemi, è il più bel giorno della mia vita. Quarta per un centesimo… certo un centesimo è proprio stronzo…».

Nella vita di ogni giorno andiamo su e giù, con i nostri umori con le nostre vite randagie, rimasticando ed esaltandoci. Ai Giochi olimpici, e nello sport, succede tutto in un soffio, a volte: tre round di boxe, una finale di 59 secondi, due manche di fioretto. Filippo Macchi si è visto scippare il primo posto in pedana da un giudice incapace, un caporale secondo i canoni di Totò, che è andato tre volte alla moviola manco fosse l’arbitro Di Bello che di solito sbaglia anche quando va a vedere la moviola. Ma questo è il calcio. Tre volte alla moviola, due volte per non decidere e la terza per dare la vittoria all’avversario del nostro. L’ultima stoccata, una cosa crudele. Un torto, uno schiaffo come succede ogni giorno a milioni di gente. Deluso e triste ma leale, il giovane di Pontedera ha ammesso con onestà: «Per vincere l’oro dovevo chiudere l’incontro quando ero avanti sul 14-12. Colpa mia…». E questo non succede ogni giorno. Di solito litighiamo se subiamo un torto e ci accendiamo per un niente in un mondo che è dei prepotenti e dei furbi. Infatti si sono accesi il suo allenatore Cerioni, ladri ladri ha gridato, e il presidente del Coni Malagò che manda lettere di protesta. Les Italiens. Un po’ come quei furbastri parigini che hanno deciso che la Senna poteva essere una piscina all’aperto. Pare proprio di no. È sporca, inquinata. Sembra il Tevere.

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