Delia Morea
A proposito di "Ombra e rivoluzione"

Rivoluzione a Napoli

José Vicente Quirante Rives racconta la storia di Domenico Cirillo, uno dei martiri della Repubblica napoletana del 1799. Ne viene fuori un'indagine sull'identità di una città dove la passione convive con il disincanto

È con fierezza e gioia che Raimondo Di Maio, storico librario napoletano – gestisce la libreria “Dante & Descartes” – mi annuncia che più di 120 persone (fino ad oggi, ma di certo altre si aggiungeranno) con foto, note o commenti sono entrati a far parte della galleria dei lettori da lui creata per il nuovo romanzo di José Vicente Quirante Rives Ombra e Rivoluzione (Colonnese editore), pag. 238, euro 18,00. Un’idea interessante che censisce il polso di entusiasti lettori napoletani e che, in questo caso, si rivolge ad un romanzo molto affascinante e di grande spessore come è Ombra e Rivoluzione.

José Vicente Quirante Rives, è avvocato e scrittore, laureato in filosofia, fondatore della casa editrice spagnola “Partenope”, è stato direttore dell’Istituto Cervantes di Napoli dal 2005 al 2007 ed ha numerose pubblicazioni al suo attivo. Lo scrittore ha fatto di Napoli la sua seconda patria, un amore forte, appassionato e ricambiato con una cittadinanza onoraria che gli è stata conferita il 25 settembre scorso dal Sindaco Luigi De Magistris in una cerimonia che si è tenuta al Maschio Angioino.

Un amore profondo, si diceva, che lo ha indotto a scrivere un romanzo importante sulla città e racconta del medico e botanico Domenico Cirillo. Sullo sfondo la Napoli della Repubblica Partenopea del 1799, dei martiri giacobini, martiri in nome di un ideale repubblicano e libertario che si scontrò inutilmente contro la ferocia sanfedista, il potere borbonico e gli alleati inglesi. E tra questi martiri ci fu anche Domenico Cirillo insieme ad Eleonora Pimentel De Fonseca, Mario Pagano, Gennaro Serra e tanti altri.

Ma in questo romanzo, come lo sfondo in un quadro, il contesto storico è il corollario di una vicenda umana piena di luci ed ombre. Domenico Cirillo è raccontato in maniera perfetta, tanto che il personaggio facilmente si anima dalle pagine del romanzo, viene descritto come uno studioso profondo, di immensa cultura, assetato di nuove letture e approfondimenti, con la grande passione per la botanica, un uomo mite per certi versi, ma anche con una grande voglia di emergere, di far conoscere la sua preparazione, i suoi studi, i suoi scritti. Infatti intreccia relazioni epistolari con studiosi di altri paesi, viaggia, si confronta, incarna il preciso modello illuministico della sua epoca. Però un essere umano con i suoi pregi e difetti, del quale emerge una profonda, sottesa inquietudine che lo fa mano mano passare, da una società aristocratica al servizio dei Borbone dove riceve incarichi importanti, a sposare le tesi della rivoluzione e a morirne. Una trasformazione, una metamorfosi, un passaggio ad una seconda vita di grande importanza che, a mio avviso, da il preciso quadro dell’uomo moderno, della inquietudine, dei dubbi in cui spesso ci si avvolge e della continua ricerca interiore.

Un personaggio affascinante, raccontato dallo scrittore con grande sapienza di scrittura e attraverso un interessante e moderno escamotage: 30 persone, tra amici, scienziati, pittore, librai lo raccontano e interloquiscono con lui, nei capitoli che si avvicendano, mettendolo a confronto con vari mondi e situazioni, in un divenire appassionante che si fa leggere con passione. Personaggi storici di grande interesse che incrociano la strada di Domenico Cirillo, spesso ne tracciano il destino.

A latere di questo, in una alternanza tra i capitoli, emerge la figura del Ricercatore, un personaggio dei giorni nostri, che fa ricerche su Domenico Cirillo, perché intende scriverne, e vive in maniera quasi claustrofobica, immerso in una profonda crisi poiché abbandona tutto per studiare la figura del medico botanico napoletano. Anche questa parte “altra” del romanzo è piena di fascinazione, come uno sdoppiamento, un rapportare le atmosfere dei giorni nostri alla Napoli della fine del ‘700, attraverso un viaggio quasi onirico e iniziatico.

Un romanzo che coinvolge nella totalità, dove la scrittura di José Vicente Quirante Rives si colloca tra le più interessanti dei nostri tempi, dove c’è la passione e la studio, la precisione e le atmosfere rarefatte, il sogno e la realtà. Un romanzo in alcuni punti dolente, dove è facile immergersi e ritrovarsi in una Napoli lontana con i suoi panorami e la sua ferocia, i suoi salotti letterari e i suoi geni, i suoi figli migliori.

Mi piace concludere con alcune parole del discorso (pubblicato in maniera integrale dal Corriere del Mezzogiorno) tenuto da José Vicente Quirante Rives il giorno in cui gli è stata conferita la cittadinanza: «Santo cielo Napoli, quanto ti ho capito e quanto mi hai capito. Ogni volta c’aggio perduto o suonno e a fantasia sono tornato per salvarmi e tu mi hai riscattato. La prima volta che sono arrivato a Napoli ho saputo, non saprei dirvi come né perché, che non era un’altra destinazione ma il mio destino. Un destino contro ogni logica e sicuramente diverso da quello che mi sembrava assegnato».

Un romanzo da leggere e da tenere a mente.

Facebooktwitterlinkedin