Luca Fortis
La rassegna di arte contemporanea

Arte nell’Orto

Manifesta 12, "invade" lo storico Orto Botanico di Palermo «per esplorare nuove forme di pratiche politiche basate sulla coesistenza e sull'impollinazione incrociata»

Le foglie, i fiori e i rami si arrampicano verso il cielo creando mondi intricati e spettacolari. Ricordano quasi i neuroni del cervello con le sue mille connessioni che creano universi metafisici di ogni genere. Le vetrate della serra fanno passare il sole e in controluce si vede il pulviscolo che ne attraversa i raggi. Il vetro con la sua trasparenza crea un cranio di cristallo a questo metaforico groviglio di neuroni. I mondi creati dalle piante sono infiniti e sorprendenti e non è possibile rimanere indifferenti di fronte alle migliaia, se non milioni, di varietà possibili.

L’Orto Botanico di Palermo nasce nel 1779, anno in cui l’Accademia dei Regi Studi, istituendo la cattedra di Botanica e Materia Medica le assegnò un modesto appezzamento di terreno per insediarvi un piccolo orto botanico da adibire alla coltivazione delle piante medicinali utili alla didattica e alla salute pubblica. Non fu da subito ubicato dove è oggi, solamente nel 1786 si decise di trasferirlo in quella che è la sede attuale, presso il Piano di Sant’Erasmo, all’epoca tristemente famoso in quanto sede dei roghi della Santa Inquisizione. L’orto, tra Ottocento e Novecento, divenne il punto di riferimento per lo studio di molte specie esotiche e anche sede delle sperimentazioni della botanica coloniale. Si fecero sperimentazioni sulla palma da dattero e sul cotone. Per la sua predisposizione ad “accogliere il movimento, lo scambio e la mescolanza di semi e piante”, l’orto botanico è stato scelto come sede centrale di Manifesta 12, la Biennale Nomade europea che ha invaso quest’anno molti luoghi palermitani.

Utilizzando una metafora, scrivono gli organizzatori, “Manifesta 12 esplora nuove forme di pratiche politiche basate sulla coesistenza e impollinazione incrociata”. Nella sede dell’Orto Botanico, vi è anche “una piattaforma elevata che offre una visuale sull’area contaminata del gasometro, un giardino industriale oggi inaccessibile per motivi di tossicità. Un richiamo alla storia dell’energia fossile e alla questione della necessità di coesistenza con irreversibili trasformazioni ambientali”.

Tra le opere presenti, quella di Alberto Baraya, New Herbs from Palermo and Surrounding. A Sicilian Expedition, 2018. Un erbario di piante artificiali ricrea una finta collezione di piante siciliane e palermitane basandosi sulla tassonomia. Erbe raccolte durante esplorazioni di luoghi interni e all’aria aperta condotte tra Palermo e la Sicilia, con una particolare attenzione per le offerte floreali lasciate nel tempo sugli altari da persone del luogo, visitatori, migranti e viaggiatori.

Foreign Farmers di Leone Contini (nella foto), è invece il risultato di un lungo lavoro sul campo attraverso l’Italia studiando le attività rurali intraprese da diverse comunità di migranti, al fine di soddisfare le loro necessità alimentari: dai contadini cinesi della Toscana, al giardino senegalese vicino a Venezia, all’agricoltura bengalese nei pressi di Palermo. I semi, sostiene l’autore “sono sempre stati dei migranti, piccole e sicure capsule per il trasporto d’informazioni genetiche in viaggio attraverso diverse geografie e fin dagli albori dell’agricoltura, attraverso differenti aree antropologiche. Le recenti trasformazioni climatiche hanno oggi reso ogni contadino, per quanto stanziale, uno straniero in casa sua. Nell’era del post Antropocene siamo tutti abitanti di un tempo straniero, siamo tutti contadini stranieri, foreign farmers, appunto”.

Anche Toyin Ojih Odutola riflette sull’immigrazione. Scenes of Exchange, si legge nel catalogo di Manifesta, “è una serie di disegni a carboncino e pastello che descrive la presenza dell’Africa occidentale in Italia attraverso episodi di vita quotidiana. Scene intime che evidenziano e valorizzano connessioni apparentemente nascoste, principalmente basate sul commercio, con oggetti, idee e persone in viaggio attraverso connessioni che facilitano gli scambi, in un tributo alla storia cosmopolita della città di Palermo”.

Un’altra opera presente all’Orto Botanico è quella di Michael Wang, The Drowned World. Un’opera in due parti, entrambe legate alle origini organiche e alle attuali conseguenze biologiche, dell’industrializzazione. Tra i resti di vecchi impianti industriali cresce una vegetazione molto simile a quella del periodo carbonifero. Piante che un tempo ricoprivano estese aree paludose in tutto il pianeta, ma che con il passare dei millenni, sepolte sotto terra, si sono trasformate in carbone, che oggi, se riscaldato o bruciato rilascia nell’aria il carbonio assorbito 300 milioni di anni fa, restaurando un’atmosfera primordiale. All’interno di un’area industriale, vasche di scarti hanno formato un habitat per microbi dagli strani colori: monocromi viventi. I processi industriali, sostiene l’autore, “alterano la composizione chimica della superficie terrestre, generando ambienti in cui solo le più estreme forme di vita microbica possono sopravvivere. Alcune di queste, archei, batteri e semplici alghe, sono tra le forme più primitive di vita che rinascono oggi tra le scorie industriali”.

Le piante e il mondo vegetale sono una perfetta metafora del mondo di oggi.

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